
Humandroid, la nuova vita
April 9, 2015La prima traccia della soundtrack composta da Hans Zimmer di Humandroid (in originale come il nome del protagonista, Chappie) è una piacevole e sinfonia, un ricordo di qualcosa di lontano, più vicino a una ninna nanna che a una domani profetico, per poi mutare in un tono maturo e finire con impulsi forti, decisi, quasi necessari.
Un bellissimo riassunto di quanto è Humandroid, il nuovo film di Neill Blomkamp, regista che con solo tre film all’attivo possiamo definire già Autore e futuro punto di riferimento per la Hollywood del domani, anche se preferiamo, per scelte stilistiche e, appunto, autoriali, che scelga il vialetto nel bosco invece dell’autostrada piena di milioni di dollari.
C’è un’importante e necessaria premessa da fare: da quando nel 2008 la Pixar ha portato al cinema quel capolavoro di nome Wall-E, nel genere della fantascienza avvenne una spaccatura; improvvisamente si sfornavano storie dove gli antagonisti da combattere non erano robot o intelligenze artificiali (vedi Skynet e i suoi Terminator o lo stesso Matrix) ma gli uomini.
Persi in un limbo di egoismo e potere, gli uomini erano la minaccia, sia per l’intera umanità che per i robot, visti questa volta come portatori di innocenza, semplici involucri vuoti, da riempire con quanti più buoni insegnamenti si poteva.
Blomkamp, che con i precedenti District 9 e Elysium ha dimostrato di esser cresciuto a pane e fantascienza, colloca esattamente questo film in questa piccola corrente produttiva.
Solo pochi mesi fa è uscito Autómata, film spagnolo con Antonio Banderas che per molti versi, specialmente per quanto riguarda i contenuti e le dinamiche future della storia, si avvicina moltissimo al prodotto di Blomkamp: un futuro dove improvvisamente i robot sono sulla strada dell’evoluzione, ma non per dichiarare guerra agli umani, ma per vivere e avere il loro spazio di terra per continuare la loro esistenza come nuova forma di vita, forse l’unica che rimarrà dato che l’uomo si è autodistrutto con le sue stesse mani.
Il rapporto uomo-robot è stato il fiore all’occhiello dei romanzi di Isaac Asimov. Ora, fermarsi a parlare di Asimov e di tutta la sua poetica è impossibile per questioni di spazio, ma riassumo il suo pensiero in poche righe molto spicciole: il futuro appartiene all’uomo, le macchine e gli androidi che costruirà serviranno solo come mezzo per arrivarci, come supporto, ma il futuro è dell’uomo.
Questi film sembrano voler mettersi all’opposto di questo pensiero. Cosa succede se improvvisamente, gli uomini così interessati a costruire un robot con un’anima, perdessero la propria? E se alla fine di tutto, gli androidi, nostre creazioni (che fanno di noi delle divinità come ‘creativi’; ricordate Tron?) saranno l’unica speranza di vita?
Qui bisogna fare una distinzione per il termine vita. Chappie, nel film di Blomkamp, è un essere senziente al 100% ed è incedibilmente vero quando scopre che non può più essere spento ma ‘ucciso’. Uccidere qualcuno che ha appreso, che ha una coscienza, dei pensieri e delle emozioni.
Tutto viene stravolto, il rapporto uomo-robot diviene conflitto (come lo era il rapporto uomo-alieno di District 9) e quindi, proprio partendo da quest’ultimo, forse la salvezza viene da chi abbiamo sempre sottovalutato.
Ecco quindi la nuova vita, quella dei robot, dove ne potranno fare parte anche gli umani, ma solo chi è coraggioso, chi abbraccierà quello che probabilmente sarà, non il futuro, ma un nuovo inizio, così da poter riascoltare di nuovo quella ninna nanna e poter ricominciare, magari con un corpo differente.
Non nascondiamo che la materia è delicata e il film attualmente ha creato una spaccatura. Le critiche arrivano proprio per mancanza di un quadro completo di quello che il film di Blomkamp vuole dire. Più che un’analisi, questo articolo vuole aiutare lo spettatore a inserirsi nella giusta strada e nell’ottica necessaria per godere al 100% del film.
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