
Slow West, viaggio di un ragazzo sfortunato
August 6, 20151870. Dalla Scozia all’America, alla ricerca di un amore perduto. Slow West è una cavalcata selvaggia nel Nuovo Mondo, dove l’uomo bianco si aggira come un estraneo in terra straniera, in un luogo da cui sta estirpando gli abitanti originari per costruire una nuova, cosiddetta, civiltà.
Jay (Kodi Smit-McPhee) decide di raggiungere l’amata Rose (Caren Pistorius), fuggita in America col padre e ricercati entrambi per omicidio. Il protagonista ingaggia il cacciatore di taglie Silas (Michael Fassbender) per trovarla. Nel lungo viaggio i due s’imbattono nella gang di Payne (Ben Mendelsohn), a sua volta alla ricerca di Rose e suo padre per ucciderli e incassare la taglia. Ma non sono i soli ad essere affamati di sangue e denaro.
John Maclean, già autore di due cortometraggi con M. Fassbender (Man on a Motorcycle del 2009 e Pitch Black Heist del 2011), esordisce sul grande schermo con questo Slow West, di cui è anche sceneggiatore.
Trattare il tema del vecchio West, del mito della frontiera, non è facilissimo. Tantissimo è già stato fatto sia in Letteratura sia in Cinema. Eppure c’è sempre qualcosa di nuovo da raccontare, mescolando le carte, osando e sfiorando sfumature inedite nella narrazione (soprattutto per quanto riguarda i protagonisti di una storia) ed è quello che fa Slow West, in un modo praticamente perfetto.
“The kid was a wonder. He saw things differently. To him, we were in a land of hope and good will”.
L’innocenza è il carattere predominante in Jay, anche dopo aver dovuto uccidere una rapinatrice. Agli occhi di questo giovane scozzese, l’America è un luogo di speranze riposte, una terra lontana da quella d’origine dove poter diventare finalmente uomo. In tal senso, quello che Jay compie per ricongiungersi con Rose è anche un percorso di esplorazione e di osservazione del mondo, per cercare di capirlo e interpretarlo.
È attraverso la morte, la distruzione, la cattiveria, la ferocia che il protagonista si rende conto di cosa sia l’America, senza tuttavia mai perdere quel suo essere così sognatore e idealista, nonché la sua ingenuità. Tutte caratteristiche che lo condannano in partenza, perché il West si fonda sull’opportunismo e sull’egoismo, che sfociano nella formula latina, resa famosa da Thomas Hobbes, homo homini lupus (“l’uomo è un lupo per l’uomo”).
L’istinto alla sopravvivenza è tutto ciò che conta nell’epica del West, nella corsa verso una nuova terra, ma è qualcosa che s’impara col tempo e con l’esperienza, e Jay non ha né uno né l’altra.
Il protagonista di Slow West è uno degli ultimi grandi sognatori portati sul grande schermo proprio perché appartiene ad un’epoca contemporaneamente così lontana e così vicina alla nostra (“In a short time, this will be a long time ago” dice Werner, un personaggio secondario del film).
Jay è uno sciocco ed illuso innamorato, incapace a tal punto di decifrare un rifiuto amoroso (quello di Rose) da attraversare un oceano e un continente intero per raggiungere la donna che ama, la quale non solo non lo ama, ma si scoprirà averlo praticamente dimenticato, tanto da non riconoscerlo quasi (“Bang bang, my baby shot me down”).
Verso il termine della storia raccontata da John Maclean è inserito un domino di inquadrature di morti che percorrono a ritroso tutto il film. L’America è stata costruita sulle macerie e sulle devastazioni (tema ricorrente è quello del genocidio dei Nativi Americani) e la sua storia è stata scritta col sangue.
La banalità della morte viene mostrata nel suo corrispettivo concreto: il cadavere. Ma Slow West non vuole essere una parabola della morte o solamente una riflessione su di essa.
L’inquadratura finale del film ci regala infatti qualcosa di più. A strage avvenuta, Silas si prenderà cura di Rose (la simbolica unione dei due letti) e smetterà di vagare da un lato all’altro dell’America facendo il cacciatore di taglie. L’uomo del West decide di fermarsi in un luogo e di costruire il suo futuro lì, con una donna, ormai sola, al fianco. Sistema un ferro di cavallo sopra la porta, ricordando e ringraziando Jay, e poi si dirige verso l’interno dell’abitazione.
È una chiara e stupenda rilettura del finale di The Searchers (in Italia, Sentieri Selvaggi), laddove, nel film di John Ford, Ethan (John Wayne) compiva un’azione opposta, dirigendosi verso il deserto, l’unico luogo che lui poteva definire “casa”.
Slow West è un minuscolo gioiello di perfezione registica e narrativa in grado di restituire al genere western il suo significato più vero, tenendo sempre a modello l’imprescindibile lezione del passato. Ho for the West!
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