Inside Out, elogio alla vita e alla tristezza

Inside Out, elogio alla vita e alla tristezza

September 16, 2015 0 By Gabriele Barducci

Roma, 9 giugno 2015, ore 21:42, sono appena uscito dalla proiezione stampa di Inside Out, nuovo film della Pixar e sono in lacrime. Per distrarmi e occupare il tempo che mi divide dal rientro a casa, prendo il telefonino e twitto:

Ad oggi, è difficile parlare di film d’animazione senza cadere nel banale. Ancor più difficile cercare di far capire perchè l’ultimo Pixar è bello. Certo, negli ultimi anni i titoli presentati erano stati veramente al di sotto di ogni qualità e l’ultimo titolo valido per lo studio californiano, per gusto personale, lo troviamo nel 2009 con Up.
Sì, nel 2010 è arrivato Toy Story 3, grande film che vinceva maggiormente per la forza nostalgica di cui era incorniciato, ma aveva una degna conclusione; questo finchè la Pixar non ha ufficializzato un quarto capitolo ma non è questa la sede per parlare di strategie di produzione/marketing.
I successivi film della Pixar erano, come dire, vuoti. Si sentiva quel senso che lo studio stesse lavorando perchè doveva farlo, perchè per abitudine la Pixar doveva essere presente nel panorama e nel circuito cinematografico che conta.
Poi l’annuncio che lascia sperare, 2013: “il prossimo anno, il 2014, non faremo uscire nessun film, ci concentreremo su qualcosa di nuovo e presenteremo il nostro progetto nel 2015”.
Nuovo. Una parola magnifica, ma visti gli ultimi prodotti così mediocri, di certo non ammissibili da uno studio come la Pixar che aveva regalato perle da far piangere diamanti, che cosa aspettarsi? Certo, l’anno di pausa per lavorare meglio era una scelta che, personalmente, ho abbracciato in modo positivo: più tempo, più calma, nessuna fretta e più cuore.

Quel che la Pixar ha partorito, Inside Out, è un gioiello di fattura rarissima, talmente inafferrabile che solo scriverne è difficile.
Togliamo subito qualche dubbio: sì, le protagoniste assolute di questo film sono gioia e tristezza che, per una serie di sfortunati eventi, vengono catapultate fuori dal centro di controllo delle emozioni di Riley, la bambina che seguiremo nel film, ma questo non rende assolutamente il film fuori luogo.
Premessa necessaria perchè “ma è una cavolata incentrare il film solo sulle emozioni pure (e opposte) di gioia e tristezza!”.
Non si faranno spoiler ma limito il commento nel dire che più di un film sull’analisi di queste emozioni e quindi, relativi pensieri di una bambina di 11 anni, sullo sfondo c’è la depressione, il vuoto, la memoria di qualcosa che potrebbe farci bene ma che difficilmente ricordiamo, il relativo rapporto con questa cosa che ci scalda il cuore e il calore della casa e della famiglia.
Per qualche verso il film gira su una specie di morale da Studio Ghibli. Paragone azzardato e lontanissimo, ma lascia proprio quella sensazione in bocca di voler sapere di più.

Mi allaccio a Quando c’era Marnie, ultimo film dello Studio Ghibli; anche qui è presente un personaggio femminile distante, triste, non depresso come la Riley di Inside Out, che inizierà un percorso di ricordi nel passato per trovare quell’abbraccio caldo per poter finalmente vivere in serenità con se stessa. Per gusto personale, all’interno di questo racconto, ho notato una parabola strettamente lesbo. Anna la protagonista è confusa, evita il contatto con tutti, specialmente ragazzi e uomini, si comporta anche come un maschiaccio e la ricerca di una verità taciuta, potrebbe aver liberato anche una sua sessualità nascosta e le note finali rimandano ad un’accettazione di una doppia realtà, sessuale e familiare.

Lontano da sviluppi o sottotrame di identità sessuale, la Riley di Inside Out si troverà in quel limbo grigio, la situazione e realtiva depressione di trovarsi in una nuova città, nuova realtà, nuova scuola, nuovi amici e l’impossibilità di comunicare con i più grandi, i propri genitori (situazione già vissuta in Coraline e la porta magica e nel recente Boxtrolls – Le scatole magiche) e quindi nella conseguente impotenza delle emozioni nel gestire la stessa bambina e guardare inermi la giovane mente andare a morire e vivere in un grande disegno privo di colori e luce.

Le emozioni presenti, gioia, tristezza, paura, disgusto e il divertentissimo rabbia, non sono delle vere entità, più un concetto astratto, come la rappresentazione della mente di Riley, ideata tra una lunga fila di scaffali che contengono migliaia e migliaia di pensieri della bambina, rappresentati in delle sfere colorate, come i simpaticissimi operai della mente e la rappresentazione delle passioni di Riley idealizzate come delle isole.
Tutto questo esercizio grafico si mette a disposizione dello spettatore per raccontare veramente qualcosa di nuovo, che esula il sogno o la fantascienza ma cerca una propria dimensione; è questo uno dei più grandi pregi del film, sembra che viva di un’anima propria e speciale, qualcosa che prima non avevamo mai visto.

Sembra una Pixar 2.0 quella che vediamo e che addirittura, oltre a questo titolo, a Natale uscirà con un secondo film originale The Good Dinosaur (in Italia già rinominato Il viaggio di Arlo), una nuova direzione che si stacca notevolmente dai lavori precedenti per cercare nuovi orizzonti.
Immagini e suoni danzano in un’armonia di suggestioni che ricordano qualcosa tra il mistico e Malick.

La vera complessità narrativa nel film è di prendersi le giuste pause, nonostante i soli 90 minuti, per far respirare il racconto e indirizzare al meglio il messaggio che si rivela essere assolutamente diverso e personale: analizzare ogni singolo momento della vita di Riley per capire i mutamenti dei sentimenti e dei suoi ricordi.
Gioia è talmente ossessionata dal far vivere solo felicità a Riley che non si rende conto che alcune situazioni di felicità derivano proprio da dei momenti tristi, quelli che Gioia cerca con tutta se stessa di evitare, monopolizzando la personalità di Riley, ma come ogni adolescente che si rispetti, la ricerca e la compresione di tali sentimenti o sfoghi, alcune volte, ci sfugge e un lavoro, una ricerca sul passato sarà necessario per poter superare gli ostacoli che si presenteranno.

Anche il molteplice lavoro sulla morale mostra una maturità e un’orrizonte che ancora non si era visto al cinema: lontano da voler dare una lezione di vita, gli spettatori, piccoli o grandi che siano, non avranno un singolo messaggio, ma qualcosa da ricostruire e dare un senso solo dentro di se.
E’ un chiaro “ascoltate le vostre emozioni e non lasciatele sopite” quel che vuole dire il film, ma quali che siano le nostre emozioni, solo noi possiamo saperlo nel momento in cui le dichiareremo al mondo, rendendole reali e alla base delle nostre azioni future.
Anche nelle situazioni più brutte, c’è un lato positivo e sta a noi vederlo e viceversa, alcuni dei nostri ricordi più felici derivano proprio da situazioni spiacevoli che hanno avuto la fortuna di essere ascoltate e supportate.

Riley siamo noi. Ci troviamo a fare il tifo per lei quasi a sperare in qualcosa di buono per noi stessi.
In fondo, siamo tutti preda di sentimenti.

P.S. – Secondo la teoria del grande universo della Pixar, Riley è palesemente la madre del futuro Andy di Toy Story.

Gabriele Barducci
Latest posts by Gabriele Barducci (see all)