
Via dalla pazza folla, le passioni di Hardy di nuovo sullo schermo
October 12, 2015Inghilterra, fine 800. Bathsheba Everdine è una giovane donna ben istruita ma dall’indole ribelle che si trova improvvisamente ad ereditare una prospera fattoria da un anziano zio. Giunta alla sua nuova dimora la ragazza, risolta a mandare avanti la sua proprietà con determinazione, desta, attraverso uno scherzo, l’attenzione di William Boldwood, un serio fittavolo scapolo sulla quarantina.
Schiacciata fra le responsabilità del suo nuovo ruolo e turbata da come una sua leggerezza abbia scatenato la passione di un uomo maturo, Bathsheba si imbatte in Frank Troy, un militare dai nobili natali ma dai molto segreti. Per fortuna la giovane può contare sull’amicizia e la devozione di Gabriel Oak, un pastore da lei un tempo rifiutato come spasimante che la sorte ha deciso debba rimanerle comunque vicino.
Vi è stata, vi è e vi sarà sempre una grande fascinazione da parte del cinema verso la letteratura. E se mai come in questi anni prosperano grosse operazioni commerciali volte a ridurre per lo schermo grandi successi editoriali contemporanei di largo consumo, specie rivolti a giovani o giovanissimi spettatori, sembra che stia rifiorendo, dopo quasi un decennio di relativo scarso interesse, la volontà di riproporre adattamenti da immortali classici.
Via dalla pazza folla, trasposizione cinematografica del romanzo di Thomas Hardy, che annovera già una prima versione realizzata nel 1967 dal premio Oscar John Schlesinger (Un uomo da marciapiede, Il maratoneta) interpretato da Julie Christie e Terence Stamp, porta di nuovo sul grande schermo, in una rinnovata ed ottima confezione ad opera del regista danese Thomas Vinterberg (Festen, Il sospetto) i tormenti d’amore e i dilemmi esistenziali che vedono convolti tre uomini e una sola donna nell’Inghilterra rurale sul finire del diciannovesimo secolo.
Appare chiarissima la fedeltà alla grande umanità del romanzo di questo ultimo adattamento. Hardy aveva a cuore i suoi generosi, capricciosi, vanitosi, innamorati e afflitti personaggi, ed è con quasi altrettanta cura che tali caratteri sono trattati dallo scrittore David Nicholls (One Day), che si occupato della sceneggiatura. Le emozioni, la passione, la ribellione e la perseveranza sono state fisiologicamente limate, certo, ma trovano la libertà di esprimersi e di svelarsi agli spettatori in tutta la loro attualità, animando una pellicola che offre una freschezza adatta agli spettatori più giovani, insieme a una certa solennità capace di convincere più maturi lettori di Hardy.
Bathsheba Everdine ha il volto, gentile ma mai privo di una certa malizia di Carey Muligan che smette senza sforzo i panni elegantemente nevrotici della Daisy de Il grande Gatsby per quelli, forse a lei più congeniali, della bella cavallerizza dallo spirito libero. La protagonista del film diretto da Vinterberg è più matura e decisa e assai meno vanitosa di quella di Hardy, ed è senz’altro dotata di un’intraprendenza tale da renderla più affascinante per il grande schermo. Le sue scelte, anche le più avventate, sembrano aver poco a che fare con un capriccio e un’attitudine alla civetteria, ma piuttosto sono dettate dal complesso ruolo che ella si trova a svolgere, sola in un mondo di uomini. In fin dei conti, sembrano essere l’indecisione e un pessimo tempismo le sue maggiori colpe, mentre splendono il coraggio, la decisione e l’anticonformismo come affascinanti virtù, specie considerato il contesto vittoriano.
Ritroviamo l’ottimo attore belga Matthias Schoenaerts (Un sapore di ruggine e d’ossa, Chi è senza colpa) dopo una brillante ed intensa ascesa nel cinema mainstream, che sembra averlo designato come particolarmente efficace protagonista di film in costume (Suite francese, Le regole del caos), nei panni di Gabriel Oak, il coraggioso, zelante e fedele pastore di pecore. Unico tra i caratteri di Hardy a non avere mai la responsabilità dell’infelicità o del destino di altri personaggi, ma a perseguire con duro lavoro una vita quanto più possibile retta, diviene in questa versione. se possibile, ancora più deciso e meno malinconico. Osservatore privilegiato di ciò che avviene intorno a lui rimane comunque al fianco di Bathsheba senza rinunciare a se stesso e ad una forte identità.
Il Signor Boldwood, il solenne, serio e compassato fittavolo turbato dall’arrivo di Bathsheba e vittima dell’innocente scherzo di due donne, se nel film acquista il volto dell’inglesissimo Michael Scheen (The Queen, Master of sex) ingentilito e reso più romantico da una folta barba, perde molto del suo travaglio interiore per definirsi maggiormente verso la fine del racconto. Il più maturo fra i protagonisti sembra suo malgrado il meno avvezzo al mutare dei tempi, andandosi a scontrare con dei sentimenti che era inconsapevole di provare.
Il Sergente Frank Troy, il villain descritto da Hardy come “circondato da un alone di romanticismo” ci si presenta con le sembianze del poco noto in Italia Tom Sturridge. Attore teatrale di un certo successo e compagno nella vita di Sienna Miller, al cinema è stato protagonista di I love radio rock e On the road, e sembra incarnare in pieno l’arroganza e la spavalderia di Troy, al quale Nicholls decide però di limare la crudeltà omettendo gran parte dei suoi loschi traffici e facendogli acquistare un’aura più umana e decisamente meno mefistofelica di quella che lo caratterizza nel romanzo.
Affidando la fotografia dei campi di grano inondati dal sole e delle notti rischiarate da candele e falò alla giovane Charlotte Bruus Christensen, già al suo fianco ne Il sospetto, e avvalendosi di una superba colonna sonora composta da Craig Armstrong (Elisabeth, The golden age e Il grande Gatsby), Thomas Vinterberg con Via dalla pazza folla realizza una godibilissima produzione che potrebbe aprire la strada ad una nuova grande stagione di romanzi classici rispolverati in grande stile e donati in una moderna e più fruibile veste all’ampio ed eterogeneo pubblico cinematografico contemporaneo.
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