
Knock Knock, quando la moglie è in vacanza
October 15, 2015Moglie e figli via per il weekend, due belle sconosciute alla porta e l’inizio di un incubo per Evan Webber (Keanu Reeves). Padre di famiglia e architetto, il protagonista di “Knock Knock” ha progettato la casa in cui vive, e paradossalmente diventa prigioniero di essa, finendo per essere come una preda nella reta delle due sadiche e folli protagoniste, Bel (Ana de Armas) e Genesis (Lorenza Izzo, moglie di Eli Roth, regista del film).
La casa è il porto sicuro di ogni essere umano che si rispetti e in “Knock Knock” la macchina da presa fluttua da una stanza all’altra, soffermandosi sugli oggetti simbolo di una famiglia felice. Tutto è perfetto, ogni cosa è in ordine e a suo posto. Un angolo di paradiso. L’idillio è destinato a spezzarsi con l’arrivo delle due attrici protagoniste, le quali, come un uragano distruttore, metteranno a soqquadro non solo l’intera abitazione, ma l’esistenza stessa di Evan.
Nella sua semplicità assoluta, è efficace la raffigurazione del family man americano, tutto casa e lavoro, che si vede distruggere la propria esistenza per aver commesso un errore della durata di una sola notte.
Quello di “Knock Knock” sembra un ritorno ribaltato alle atmosfere di “Cabin Fever”, laddove il male non è più un elemento che si diffonde dall’interno (un lago infettato) verso l’esterno (una comunità intera), ma il suo esatto opposto: dall’esterno (le due ragazze) verso l’interno (la casa).
“Knock Knock” è il secondo film di Eli Roth ad essere distribuito quest’anno (“The Green Inferno”, di cui trovate qui un nostro articolo, era stato presentato al Festival di Roma nel 2013, ma solo nelle ultime settimane è approdato in numerose sale cinematografiche sparse per tutto il globo) ed è il remake di “Death Game” del 1977, una pellicola di serie Z finita presto nel dimenticatoio per la povertà dei mezzi con cui è stata realizzata. Destino che pare non essere quello di “Knock Knock”, la cui immediatezza e facile fruizione in breve tempo lo faranno innalzare a cult dagli amanti del genere.
Il cinema di Roth fagocita e ingloba i cult del passato e vive di citazioni, ma è in un luogo chiuso (“Knock Knock” è quasi tutto girato in interni) che il regista trova un ambiente in cui controllare per davvero ogni aspetto della regia, senza andare incontro agli inconvenienti del girare in esterni.
Si tratta, come finora si è visto in tutta la sua filmografia, di un intrattenimento privo di intellettualismi inutili e fuori luogo, ma che tuttavia riesce a ritrarre uno spaccato umano reale. “Knock Knock” va a toccare punti nevralgici nella psiche dell’essere umano, e dell’uomo nello specifico, che possono portare alla luce desideri, pulsioni e comportamenti, troppo a lungo sepolti nell’interiorità dell’individuo.
Il film quindi, proprio in quanto strumento catartico, diventa specchio d’impulsi primitivi (sesso, morte, distruzione), nella stessa maniera in cui avevano analogo valore i sacrifici umani di “The Green Inferno” o l’intolleranza nei confronti del diverso e dell’infetto in “Cabin Fever”.
Invece la brutalità, che aveva caratterizzato i due capitoli di “Hostel” diretti da Roth, in “Knock Knock” si trasforma in farsa, in grottesco, provocando nei personaggi comportamenti esasperati, al limite della parodia dello stesso filone di produzioni di serie B a cui il film vuole rifarsi.
È un modo genuino di fare cinema, in una maniera quasi artigianale, divertendosi e senza eccessive pressioni produttive. Come lo stesso Roth ha avuto modo di dire in un’intervista: “Se non torno a casa ricoperto dalla testa ai piedi di sangue finto, allora non ho fatto il mio lavoro di regista horror”.
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