
TFF33 – Scene dopo i titoli di coda
November 30, 201530 film in 9 giorni. Tristezza e sollievo nel concludere anche quest’anno il Torino Film Festival nell’edizione più bella e ricca che io ricordi. Quella che segue è una lista, non in ordine cronologico, di tutto ciò che ho visto e di cui non ho parlato durante i giorni del Festival, vuoi perché non fosse il caso vuoi che non sapessi cosa più di tanto cosa dire, in un verso o nell’altro.
Stinking Heaven: Storie di una comunità di tossici e alcolizzati, in preda a deliri e in lotta con i propri demoni. Rifiuti umani che marciscono nel loro stesso putridume. Figo.
Lace Crater: L’inutilità di un film diretto da un giovanissimo ragazzo. In bilico precario tra momenti drammatici e scene ridicole. Senza un’identità precisa. Bocciato.
Borsalino City: Lo straordinario successo del cappello Borsalino in 100 anni di storia mondiale. Documentario standard nella realizzazione, ma con una storia incredibile e -una volta tanto- nostrana. Notevoli interviste (Robert Redford apre e chiude il racconto) e ricchissimo materiale d’archivio. Da recuperare.
Lo scambio: Non saprei neanche da dove iniziare nel descrivere i problemi di questo film. Chi lo vedrà, capirà.
Prima che la vita cambi noi: Povertà di mezzi e bassissimo budget al servizio di un capitolo della nostra storia (il ’68). Per i più nostalgici, ma forse non solo. Insomma.
Moonwalkers: Strambe e divertenti vicende attorno alla storia fasulla dell’allunaggio ricreato in studio da Stanley Kubrick. Uno dei migliori titoli di quest’anno. Da vedere.
Symptoma: Uno dei film più brutti che io abbia mai visto in vita mia. Ok che ho un problema col cinema greco, ma qui siamo oltre il confine della sanità mentale e dell’arte per l’arte. Atroce.
I racconti dell’orso: Encomiabile che due giovani ragazzi siano riusciti nell’impresa di trasformare un loro esperimento in un film vero e proprio. Diventerà un cult.
The Girl in the Photographs: Ultimo film prodotto da Wes Craven, morto prima del final cut. Thriller contenuto e dai contorni agghiaccianti. Niente male.
The Hallow: Horror che tira troppo per le lunghe una storia esile, ma non da buttare. Le creature del bosco inquietano.
February: Diretto dal figlio di Anthony Perkins, il protagonista di Psycho. Uno dei titoli più sconvolgenti di quest’anno. Da rivedere almeno due volte. Urla soffocate e terrore umano. Montaggio, regia e interpretazioni incredibili. Fondamentale.
Evolution: Il vero e unico capolavorone di questo festival (almeno tra quelli visti). Un film che ridefinisce il concetto stesso di cinema e lo porta ad un livello del tutto nuovo. Da rimanere attoniti.
Hellions: Horrorino puerile. Non brutto, non bello. Inutile? Abbastanza.
Brooklyn: Storia d’immigrazione a New York dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tra momenti di cagnaggine e di realismo. La regia di John Crowley salva la baracca più volte. Avrà un bel successo, probabilmente.
Tikkun: Noia, noia, noia, noia, noia, noia, noia, noia. Da evitare. Premiato a Locarno.
The Final Girls: Citazioni cinefile e invenzioni divertentissime. Classico film da pop-corn e pomiciate.
Just Jim: Filmetto da Sundance, nulla di più. Senza Emile Hirsch sarebbe stato un bidone allucinante.
The Nightmare: Il regista è lo stesso di Room 237, il documentario che analizzava Shining. Il risultato è diametralmente opposto, in senso negativo. Non male, ma parecchio fuori fuoco e troppo ambizioso.
The Ecstasy of Wilko Johnson: Julien Temple. Credo basti il nome del regista. Potentissimo. Unica pecca: alcuni materiali d’archivio potevano essere recuperati facilmente ad una qualità maggiore. I pixel sono un nemico combattibile, basta avere pazienza.
Te Prometo Anarquia: Clamore e violenza in Messico, terra di gangster e vampiri. Atmosfere sospese e rarefatte. Fondamentale.
Hong Kong Trilogy: Preschooled, Preoccupied, Preposterous: Viaggio al termine dell’Asia, in una terra che non conosciamo abbastanza e che spaventa per il suo pullulare di vita. A tratti, dolcissimo documentario. Da vedere.
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