
SPECIALE VERO CINEMA – The Hateful Eight, l’atto d’amore in 70mm
February 9, 2016Sulla prima sceneggiatura trafugata di The Hateful Eight era disseminata la scritta: “in glorious 70 mm”. Sin dagli albori, Quentin Tarantino aveva progettato di girare il film su pellicola da 65 mm, da convertire e rilasciare in 70 mm. A latere della mera realizzazione del prodotto cinematografico covava l’idea di un progetto The Hateful Eight di più ampio respiro: il film era il pretesto ideale per inaugurare un evento culturale di portata internazionale.
Il regista era consapevole che relativamente poche sale sarebbero state in grado di allestire la proiezione della pellicola in 70 mm, per problemi di natura eminentemente tecnica, eppure era ferrea la sua intenzione di distribuire il prodotto nella forma in cui lo aveva concepito, ed infine realizzato. Un centinaio le sale negli Stati Uniti, tre soltanto in Italia. Compresa l’enorme portata culturale dell’evento, gli esercenti hanno investito denaro nello sforzo di proiettare il film nel formato desiderato dal regista. Il Cinema Arcadia di Melzo, prima dell’adesione di Bologna e Roma, è stata l’unica struttura italiana in grado di ospitare l’evento. Al nostro ingresso, la sala era avvolta nell’ombra, con uno schermo all’apparenza sterminato, imponente dinanzi a centinaia di piccoli umani che brulicavano sommessamente. L’aria era satura delle note de I Quattro Passeggeri di Ennio Morricone, ed eravamo intimoriti dalla tensione che sprigionava presagi di morte, intuendo che avremmo partecipato ad una esperienza più matura, lontana dai vezzi del regista, svuotata di qualsiasi ironia.
Non eravamo giunti a Melzo per assistere alla proiezione di un film, che da lì a poco avrebbe popolato tutte le sale italiane dopo conversione al formato digitale. Eravamo stati invitati da Tarantino ad un evento che glorificasse il cinema e di cui non esiste più memoria: il roadshow. Le sale che avevano accettato l’onere della proiezione in 70 mm erano state premiate con l’onore di rivivere emozioni dimenticate legate alla visione della pellicola. I roadshow erano eventi cinematografici organizzati nel contesto della proiezione di film (Via col vento; Ben Hur) nel corso degli Anni Cinquanta, riservati ad un numero limitato di sale, in cui la visione era preceduta da una Overture musicale e interrotta da un Intervallo in cui il pubblico poteva confrontarsi sulle prime considerazioni suscitate dalla visione. Tarantino ha desiderato ricreare con The Hateful Eight un evento roadshow che è puro atto d’amore verso il cinema, volto a rievocarne l’antico splendore, e quell’austerità che in passato aveva nobilitato la fruizione dell’opera cinematografica.
Il Cinema non è mai stato così vicino alla nostra carne al punto da penetrarla con arroganza fino a sconvolgerne i visceri. Al tempo stesso, la maestosità del 70 mm ha imposto l’autorevolezza dell’esperienza cinematografica, riportandola all’incredulità dei vergini alla scoperta della magia racchiusa nelle immagini in movimento.

Foto di Dan Halsted
I primi fotogrammi ci hanno intimorito, e la vastità del mondo nell’inquadratura, dietro i titoli di testa cullati dalla melodia di Morricone, ci ha resi inermi e incapaci di deviare lo sguardo dalla straordinaria potenza che scaturiva dal tessuto filmico. Quell’improvviso godimento delle carni era da attribuire alle lenti Ultra Panavision con cui il film era stato girato. Sintagmi millimetrici di inquadratura esplodevano al punto da superare i confini della visione per coinvolgere gli altri sensi, grazie alla maestria di Bob Richardson, direttore della fotografia di Tarantino dai tempi di Kill Bill. Fu lui ad imbattersi, quasi per caso, in alcune lenti Ultra Panavision dello stabilimento della Società in California. Quelle lenti erano state ampiamente utilizzate in passato, ma giacevano impolverate e quasi dimenticate dai tempi di Khartoum del 1966. Ne fu immediatamente attratto, intuendo che avrebbero soddisfatto le esigenze e la grandiosità della pellicola. Con queste lenti hanno ottenuto la più ampia cornice cinematografica possibile, con un ratio di 2,76:1, adatta alle panoramiche degli sterminati paesaggi dei primi minuti di pellicola, al punto da percepire la neve sulla pelle, e il calore dei riflessi luminosi. L’odore del sangue di Daisy Domergue non era mai stato così nauseante, e mai avevamo ammirato, non senza soggezione, l’intensità e la pienezza dei campi stretti sui volti.
Quelle stesse lenti hanno potuto servire adeguatamente l’architettura teatrale della sceneggiatura, con un intreccio sviluppato quasi esclusivamente in una stanza, l’Emporio di Minnie, in cui gli Otto sono intrappolati a causa di una violenta bufera di neve. Quelle lenti erano infatti in grado di duplicare il campo visivo dell’occhio naturale meglio di qualsiasi altro formato, grazie alla loro forma prismatica, che accentuava la profondità. Dopo un dialogo con Dan Sasaki, ingegnere ottico alla Panavision, si decise di realizzare nuove lenti prismatiche e di restaurare le vecchie. Fu inoltre necessario allestire macchine da presa adeguate, che risultarono talmente pesanti da impedire le riprese in steadicam. L’obiettivo di Tarantino, possibile grazie ai nuovi dispositivi ultra grandangolari, era di inquadrare tutti gli attori nel singolo fotogramma. Abbiamo così potuto sperimentare una nuova forma di claustrofobia, più vivida e intima, costretti ad assistere a diverse azioni che si svolgono contemporaneamente a vari piani nell’inquadratura, incerti su quali siano gli elementi utili a comprendere il mistero che avvolge e lega gli Otto, non sapendo scegliere dove focalizzare l’attenzione, intrappolati nell’incertezza, rafforzando il sospetto che la tragedia si possa consumare nell’immediato, senza possibilità di prevederla.
Eravamo estasiati da una tempesta emotiva irrefrenabile. Il glorioso 70 mm ci ha ricondotti alla necessità del silenzio dinanzi all’eternità dell’arte, alla ritrovata possibilità di stupirci dopo la noia scaturita dalla passività delle visioni perpetuata nei decenni. Ci siamo finalmente privati delle presunzioni e disillusioni che hanno stuprato lo spettatore contemporaneo, godendo dell’immersione nell’opera d’arte, fino a divenire parte di essa, e percepirla entrare in contatto con le nostre anime. Usciti dalla sala eravamo incapaci di proferire parola, animati dalla speranza che il progetto The Hateful Eight possa fungere da pioniere per una serie di eventi culturali finalizzati a valorizzare l’esperienza della visione in sala cinematografica.
E al di là di ogni speculazione sul film, rimasto sulla pelle per lungo tempo, siamo rientrati con la consapevolezza di quello che il progetto ha rappresentato per tutti noi: un atto d’amore.
Fonti:
- Robert Richardson on the Ultra Panavision experience of “The Hateful Eight”: http://variety.com/2015/artisans/in-contention/robert-richardson-hateful-eight-dp-1201655879/
- Old lenses give depth to “The Hateful Eight”: http://variety.com/2015/film/in-contention/hateful-eight-cinematography-70mm-ultra-panavision-1201655779/
Un sincero ringraziamento a Gianfranco Montemurro, con cui ho condiviso la trasferta a Melzo, per la ricerca delle fonti, la correttezza delle informazioni tecniche e le riflessioni scaturite dopo la visione del film.
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