
Il Vero Cinema di Quentin Tarantino
February 23, 2016Litri di sangue, sparatorie impossibili e citazionismo a go-go: questi sono alcuni degli elementi che contraddistinguono il cinema di Quentin Jerome Tarantino, ma diciamocelo… chi veramente conosce il diavolo del Tennessee, sa che c’è ben altro di semplice violenza dietro ai suoi film. Peccato che la massa di voraci divoratori di pop-corn, abituati ad un cinema più di apparenza che di sostanza, spesso fraintendono il lavoro del buon Tarantino, etichettandolo come “puro intrattenimento” e nulla più. Sono coloro che trovano noioso un prodotto come Jackie Brown; sono coloro che hanno fischiato Death Proof ed elogiato Django Unchained (e di certo non per lo spessore etico della pellicola, quanto per gli ironici dialoghi e le innumerevoli scene di violenza); sono tutti quelli che davanti alla sua ultima opera uscita nelle sale italiane qualche settimana fa, hanno stordito il naso, sbadigliato e sfogato la propria ignoranza definendo il film come “politico, misogino e poco contestualizzato”.
In questo momento sto immaginando il buon Cute mentre legge quei commenti, sgranocchiando cereali direttamente dalla loro confezione e ridendo a crepapelle.
Se ne sono dette tante su The Hateful Eight, così tante stronzate che per quelle persone io suggerirei una bella cura medievale (cit. a caso, ma ovviamente scherzo… o forse no?).
Ma è inutile sprecare altre parole per manifestare il mio disdegno davanti a certe vanità. Questo è un articolo per coloro che, come me, stimano il lavoro di Tarantino, gustando e riguastando le sue pellicole spesso e volentieri, analizzandole nei minimi dettagli e restando ogni volta sorpresi di quanto questo regista abbia da dire. E tutto ciò lo farò parlandovi del suo ultimo film, forse la sua opera più matura e cruda, ed ora come ora, anche la più criticata.
Andiamo per punti (neanche a dirlo, sono otto).
La maturazione artistica di Quentin
Quentin Tarantino ha da subito dimostrato un grande amore per la settima arte. Immaginate un giovane ragazzo che si guarda attorno e cerca di assimilare ogni cosa, che sia musica, arte o letteratura. Non ha importanza cosa sia, quanto che lo affascini. Tarantino invece di latte e cereali come tutti i bambini della sua età, cresce divorando film su film, di genere e d’autore, passa dalla blackspoitation degli anni Settanta agli spaghetti-western del nostro connazionale Sergio Leone, dai noir a basso budget ai film di kung-fu.
Il suo grande sogno è sempre stato quello di elevare i film di serie Z a film d’arte.
Da cinefilo acerbo diventa operatore di cabina in una sala cinematografica nella piccola cittadina di Torrance, e grazie a questo ed ad altri lavori, risparmia abbastanza soldi per comprarsi un registratore, aumentando così la sua collezione di film e, di conseguenza, la sua cultura in materia. Frequenta videoteche, in particolare la “Video Archives”, conosce persone con i suoi stessi interessi, butta giù le prime sceneggiature, finisce in carcere per delle multe non pagate (LOL), simpatizza con i neri di quartiere ed inizia a fare sul serio nell’industria del cinema.
Quentin diventa un vero e proprio one-man show: regista, attore e produttore dei suoi film. Crede nel suo talento e non è il solo a farlo.
Un personaggio come lui, col suo vissuto rocambolesco e privo di alcuna monotonia, non può che arricchire il suo cinema, rendendolo unico.
Ma la maturazione artistica è qualcosa che si acquisisce col tempo, solo attraverso l’esperienza, e lo ha dimostrato col suo ultimo film, opera certamente pregna dello stile tarantiniano, ma decisamente più concreta e solerte.
The Hateful Eight è la conferma che si può sempre fare di più e che non esistono limiti alla bellezza.
Non so voi, ma a fine proiezione del film, sono uscita dal cinema estasiata, pienamente appagata che nemmeno un orgasmo od una vincita al Lotto possono soddisfarmi in egual modo. Tarantino è riuscito nell’impresa di stupirmi e sorprendermi ancora una volta, non che dubitassi di ciò, anzi, da lui mi aspetto sempre di tutto e di più, ma credo di esser stata colpita dalla sindrome di Stendhal e non mi accadeva dai tempi di Pulp Fiction.
QT gioca coi generi cinematografici, dalle ambientazioni western agli elementi gore, offrendoci un thriller dal ritmo incalzante, supportato da una possente colonna sonora che vede la mano sapiente di Ennio Morricone.
In questo film, a differenza del primissimo Le Iene, non c’è spazio per le risate. In alcuni punti addirittura si stringono i pugni, si deglutisce, si prova tensione, pura tensione.
Come di vede che il buon Quentin da giovane ha letto moltissimi libri di Elmore Leonard, considerato il maestro del dialogo.
The Hateful Eight è come il gioco del domino, un tassello cade e man mano precipitano anche tutti gli altri. Non si salva nessuno, così ha voluto e così è giusto che sia. Nessun eroe, nessuna principessa da salvare. Solo odio, marciume e nichilismo.
Alla ricerca del bugiardo!
Nell’emporio di Minnie nel gelo invernale del Wyoming, otto uomini si guardano negli occhi. Ognuno si presenta, ognuno è lì per un motivo, ma qualcuno sta mentendo. Fra di loro si nasconde un bugiardo.
Gli spazi ristretti e claustrofobici sono miele per Quentin Tarantino, che si diverte a manovrare i fili dei suoi giocattoli, incrociando i destini di persone apparentemente estranee fra loro, mettendoli in difficoltà, costringendoli a spogliarsi dei loro peccati, ammettendo la loro natura da iena. Il riferimento a Reservoir Dogs è lampante.
Come nella sua opera prima, in TH8 il vero spettacolo prende la forma del dialogo e del monologo. Non conta ciò che i personaggi fanno, ma quanto ciò che dicono.
Il piccolo emporio diventa un palcoscenico teatrale, come il magazzino in Le Iene. Solo che se in quest’ultimo film, il bugiardo era solo uno, in TH8 il numero sale ma la differenza sostanziale fra i due film è ben altra.
In Le Iene, la spia Mr. Orange (Tim Roth) riesce nella sua missione di ingannare i suoi compagni di rapina, stringendo addirittura un legame con l’onesto Mr. White (Harvey Keytel) che arriva a fidarsi di lui, seppur conoscendolo appena. E questo perché in un momento di crisi, Mr. Orange svela una parte di se, una paura così palpabile che Mr. White non può che provare affetto per “l’amico”. La debolezza di Mr. White sta nella sua umanità che spicca dalla massa di personalità fittizie.
Ma ciò non avviene in TH8: non c’è esitazione, non c’è empatia, non c’è moralità. Nessuno degli ospiti dell’emporio prova alcun tipo di connessione per gli altri. Non ci si può fidare di nessuno: questo è uno degli insegnamenti che Tarantino ci vuole lasciare con il suo ultimo film.
Se a fine visione di Reservoir Dogs è lecito domandarsi il significato della parola ed il suo valore nei rapporti sociali, lasciandoci comunque un barlume di speranza davanti all’umano Mr. White, in The Hateful Eight non c’è ottimismo ne speranza: bugiardi o meno, tutti facciamo la stessa fine.
The Inglourious 8 Basterds
Sono otto, sono bastardi e sono senza gloria.
Dei protagonisti di The Hateful Eight non se ne salva uno (in tutti i sensi)!
Non ci sono né eroi né antieroi, ne vinti ne vincitori, solamente fiumi di parole e di sangue che colmano il vuoto delle loro esistenze. E proprio il fatto che in questo film non si possano distinguere i buoni dai villains, segna un netto distacco dai lavori precedenti del regista.
Il confine fra giusto e sbagliato, bene e male, nel cinema tarantiniano è sempre stato sottile.
Pulp Fiction ci ha insegnato che la redenzione è possibile, basti vedere come siano differenti i destini di Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Vincent Vega (John Travolta). Da feroce killer, Jules abbandona le vesti da gangster e si lascia colmare da un forte senso di pietà, ed è simbolica la scena finale che lo vede allontanarsi dal bar, libero e spogliato da ogni cattiva azione, pronto ad iniziare una nuova vita.
Ma non c’è alcuna nuova vita ad attendere i superstiti di TH8. Mai come in questo film, i personaggi di Tarantino sono stati tanto odiosi ed amorali.
Se in Bastardi Senza Gloria si arriva a simpatizzare per il personaggio interpretato da Brad Pitt mentre infligge la sua tortura a Christoph Waltz nell’epica scena finale, non si prova alcun tipo di empatia per i protagonisti di TH8. Sono basterds, appunto, viscidi e subdoli, ma senza alcun principio etico.
Personaggi che interpretano personaggi
Cinema nel cinema: questo è il cuore pulsante del vero cinema di Quentin Tarantino!
Personaggi che all’interno degli stessi film interpretano un ruolo , una maschera, inscenano una farsa, solo loro sanno a quale scopo.
In Reservoir Dogs, l’infiltrato della polizia Freddy Newandyke veste i panni di un gangster; in Pulp Fiction, Jules recita la battuta “Forza, entriamo nei personaggi”, invitando il collega Vincent a prepararsi per un lavoro sporco; in Bastardi Senza Gloria, il tenente Aldo Raine e compagnia bella si fingono esperti di cinema al fine di prender parte alla prima del film “Orgoglio della nazione” per assassinare Hitler ed i suoi soci; in Django Unchained, il dottor King Schultz e Django si fingono due negrieri alla ricerca di lottatori mandingo.
Ognuno di loro ha un solo ed importante compito: “Durante la commedia, non si può uscire mai dal personaggio”, citando il buon King Schultz, e tutto ciò per puro istinto di sopravvivenza.
Anche in The Hateful Eight, assistiamo alla pièce teatrale delle parti. I bugiardi si creano una nuova identità, la recitano al meglio delle loro possibilità, fin quando non vengono smascherati. E c’è così tanta finzione in tutto ciò che è difficile per lo spettatore capire chi mente e chi no. E questo è ciò che piace fare a Tarantino, giocare col cinema, renderci partecipi e non passivi spettatori.
Donne con gli attributi
Fra le tante critiche sollevate dal pubblico, TH8 è stato definito un film misogino per l’eccessiva violenza usata nei confronti di Daisy Domergue (la splendida candidata all’Oscar Jennifer Jason Leigh), la fuggitiva su cui pende una taglia di 10mila dollari.
Più volte nel corso del film, i vari personaggi discutono sul senso di rimorso o meno nel condannare a morte una donna, ma la glacialità ed il cinismo di Oswaldo Mobray (il boia dai modi eleganti interpretato da Tim Roth) non lasciano a tante riflessioni: chi rompe, paga.
Ognuno deve pagare per i suoi crimini nell’universo di Tarantino, donne comprese.
Ma allontanandoci dall’etico dubbio di giusto e sbagliato, soffermiamoci sull’accusa (infondata) di misoginia.
Tarantino ama le donne e lo ha dimostrato dai suoi primissimi film.
Che siano seducenti femme fatale (Mia Wallace), donne d’affari (Jackie Brown), spietate vendicatrici (Beatrix Kiddo) o vittime di guerra (Shosanna Dreyfus), QT non le sminuisce mai, elevando invece la loro forza e bellezza.
E per quanto la protagonista femminile di TH8 non si possa definire uno stinco di santo, è una donna con gli attributi, un’abile volpe capace di manovrare a proprio piacimento i suoi burattini, sacrificandoli pur di salvarsi la pelle.
Si dimostra virile e forte come un uomo, e come tale viene trattata. Nessun favoritismo per il gentil sesso. Daisy Domergue è un inno all’egualitarismo.
Quando c’è da tirare un pugno, lo fa (eccome se lo fa!), ma come un po’ tutte le donne tarantiniane predilige il silenzio, sceglie di parlare poco come reazione al fatto che gli uomini parlano troppo. Come una serpe velenosa attende silente il momento migliore per attaccare, cercando di mietere più vittime possibili.
Una violenza reale
Tarantino in passato dichiarò: “La violenza dello schermo non è la violenza della vita reale”. Ed in effetti il suo è più un estetismo della violenza, un volerla elevare a qualcosa di artistico, di bello da vedere.
Spesso la violenza si mescola all’umorismo, in alcuni casi si ride pure di fronte a certe scene (ad esempio, quando in Pulp Fiction Vincent Vega accidentalmente fa saltare in aria la testa di un uomo con un colpo di pistola, sporcando di sangue e pezzi di cervello la macchina di Jules). L’ironia è un efficace mezzo per che stemperare la brutalità delle scene.
Fino ad oggi Tarantino ha sempre aumentato la distanza dello spettatore dallo spettacolo, facendo così in modo che non si immedesimasse mai nell’atto violento, esasperandolo e rendendolo assurdo e fisicamente impossibile da ricreare (come la battaglia fra Beatrix Kiddo e gli 88 Folli in Kill Bill Vol.1). Più aumentano le dosi di sangue, più diminuisce la realtà dell’atto violento in sé.
Ma in The Hateful Eight, la violenza è reale. Ogni pugno che Daisy riceve, lo si sente, si avverte il suo dolore, le sue ossa rotte ed il suo sangue zampillante.
Non c’è alcun tipo di divertimento nella violenza fisica e psicologica che viene presentata in questo film.
Se in Django Unchained la rocambolesca sparatoria a ritmo di musica ci ha regalato grasse risate, nell’ultima opera di Tarantino si abbandona ogni straccio di commedia, evidenziando invece una nazione fondata sul razzismo istituzionale e sulla conseguente violenza.
Non è un caso che l’ultima immagine che vediamo è una donna impiccata e derisa dai suoi boia.
Citazioni ed easter eggs
I fanatici di Tarantino adorano sfidarsi a chi trova più omaggi e citazioni possibili, ed in quest’ultimo film non mancano affatto!
Dall’evidente riferimento a La Cosa di Carpenter alle inquadrature-chiave che rimandano ai film precedenti del regista.
Non so se si diverta più Tarantino o noi spettatori a scovare tutti gli easter eggs!
Fatto sta che ci si sente più felici quando d’improvviso si vede un pacchetto di sigarette Red Apple, è come provare la gioia di tornare a casa dopo un lunghissimo viaggio, si ritrova tutto in ordine, al giusto posto come dev’essere.
Cambio di rotta per il cinema di QT
Toglietegli tutto, ma mai il buon vecchio cinema della sua infanzia. Ecco cosa non dovete fare a Quentin Tarantino!
Più passano gli anni e più ci si accorge di quanto egli sia legato ad un cinema classico che abbraccia i decenni dai Quaranta ai Settanta, e di come vorrebbe riconciliarsi con la tradizione. Sperimentare il nuovo non dimenticando mai le proprie origini: questa è l’ambizione cinematografica di Tarantino che, in questo modo, ha presa sia su un pubblico popolare ed inesperto, sia su un pubblico più colto (di cinema s’intende).
Tarantino con The Hateful Eight cambia la rotta del suo cinema, mettendo un freno alle beffe ed adottando un modello di narrazione più lineare (una sorta di “Dieci Piccoli Indiani” di Agatha Christie).
Il caro ed amato Quentin con questo film si è fatto più serio e cinico, più maturo e coscienzioso. Non ho idea di cosa aspettarmi in futuro da lui dopo quest’ultima perla. Una cosa è certa: Quentin Tarantino è Vero Cinema!
- Venezia74: Intervista a Pengfei, regista di The Taste of Rice Flower - October 5, 2017
- Venezia74: Il Colore Nascosto delle Cose, centoquindici minuti di banalità - September 14, 2017
- Venezia74: Caniba, una lente d’ingrandimento su Issei Sagawa - September 10, 2017