
Anomalisa, estetica dell’incomunicabilità
February 26, 2016Anomalisa, di Charlie Kaufman e Duke Johnson, Leone d’argento alla 72esima Mostra del Cinema di Venezia. La piccola parabola dell’oratore Michael Stone nella forma dello stop motion. Era forse questo il modo privilegiato per tradurre in immagini il suo universo interiore, che prende forma nell’architettura surreale della messa in scena. Lo stop motion descrive una realtà che disgrega e ricompone continuamente l’integrità delle immagini in sequenza, abbandonando l’armonia della continuità per cedere alla frattura dell’azione. E’ un mondo popolato da individui che sono pura espressione della proiezione mentale di Michael Stone; hanno volti identici, e necessità di riempire il silenzio con inezie, in modo da accentuare l’ordinarietà delle loro vite e l’estraneità dei corpi.
L’incomunicabilità e la massificazione del mondo conducono l’oratore alla noia e all’inconcludenza, esasperando una solitudine intrappolata nella tessitura paradigmatica del film d’animazione: gli uomini sono trasformati in pupazzi incapaci di esternare le proprie emozioni, col viso divenuto una maschera dai lineamenti interrotti, per circoscrivere la regione dell’articolazione della parola, la più grande fonte di anormalità. Queste maschere rischiano di rompersi, hanno l’impellenza di mutare espressione ed esternare un’umanità perduta per sempre nell’incapacità di relazionarsi al mondo. Nella realtà filtrata di Stone, il terrore più grande giunge dall’uniformità delle voci. Tutti i pupazzi hanno la stessa voce, privati della loro individualità, accomunati dal disprezzo che egli nutre per ciascuno. Tra di esse, solo la voce di Lisa gli sembra diversa, un’anomalia nell’inquietudine del coro. Lisa, o Anomali(s)a, è l’unico essere genuino che concede a Stone, attraverso un plongée che esalta l’elegantissima regia, la speranza di una ritrovata bellezza al di fuori dell’ordinarietà del quotidiano. Lisa è emarginata, con uno sfregio in viso, ed incarna quella diversità che può riappropriarsi della magia nella volgarità dell’universo.
Le loro voci, quindi, si svestono della colpa dell’incomunicabilità, al pari dei corpi impacciati e desiderosi di un amplesso liberatorio, e grazie alla loro anomalia si concedono all’illusione della felicità. Il che indurrebbe a considerare il film come una intrigante metafora sull’amore di coppia, in grado di recare il senso della bellezza del mondo.
Nei fatti, Anomalisa sembra piuttosto il racconto di un’ennesima occasione mancata (Eternal sunshine of the spotless mind, della stessa penna di Kaufman). Lisa è una delle tante pedine del mondo che gravitano attorno a Michael, il quale, per egoismo (ad essere crudeli) o depressione (ad indugiare nel buonismo), dopo un’iniziale esplosione di felicità, spinta più dallo spiraglio di novità che per reale consapevolezza, relega la donna nella sfera del disprezzo. Sembra che l’infantile Michael Stone, dal cognome evocativo, non faccia esperienza del mondo: ricade negli stessi errori, vive nell’illusione di un amore ideale, persiste nel non voler comprendere le responsabilità della vita adulta o accettare i limiti dell’essere umano. Il narcisismo gli impedisce di osservare la realtà con obiettività, e lo spettatore è costretto a subire la materializzazione del suo subconscio, e credere di essere immerso in un mondo grigio, talmente prosaico da costringere l’oratore alla solitudine dell’intellettuale incompreso.
La scrittura di Kaufman guarda con indulgenza ai limiti di Michael Stone, stuzzicando l’idea che la responsabilità della sua natura sia da imputare al mondo, che costringe l’uomo ad una condizione di miseria morale ed emotiva (il che verrebbe accentuato dalla relativa banalità della vicenda narrata, che lascia intendere come qualsiasi sintagma dell’esistenza sia sufficiente ad esplicitare uno smarrimento che già lo Shame di McQueen aveva evidenziato con maggiore potenza nelle sue sequenze paratattiche). Difficile tuttavia giustificare la sua ingratitudine, residuando un certo fascino per l’indole autodistruttiva del personaggio, che perpetua la sua condanna senza apparente possibilità di fuga. Una pellicola che vorrebbe raccontare lo smarrimento dell’uomo, ma più che delinearne i meccanismi, preferisce scandagliarne la controversa natura nell’espressionismo dell’immagine.
In sostanza, di anomalo il film ha soltanto Michael Stone.
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