
Il Libro della Giungla, lo stretto indispensabile
April 14, 2016Poche parole, le strette indispensabili, per parlare de Il Libro della Giungla.
Esce oggi al cinema. La forma è la stessa che la Disney ha usato lo scorso anno con Cenerentola: prendere direttamente il classico Disney di animazione come riferimento, per crearne un live action.
Certo, già dal primo trailer erano emersi dubbi di un certo peso: la realizzazione del film era tutta in computer grafica e green screen. L’unica cosa di live action è Mowgli. Già possiamo immaginarci la realizzazione, il backstage, un bambino tutto solo e con una fascia rossa come unico ‘vestito’, assorto a recitare in un cubo verde.
Quindi le premesse non erano delle migliori. Eppure, contro ogni aspettativa, l’unico obiettivo che si prefissa il film, lo porta completamente a casa. Inutile spendere parole nella trama, perché la conoscono anche i sassi. Anche gli spoiler non sussistono, essendo la stessa storia che conosciamo a menadito, tutto viene riportato fedelmente, ogni virgola o parola del già visto Classico d’animazione Disney.
C’è un aspetto molto importante per cui molti film di oggi vengono considerati ‘brutti’, ovvero l’utilizzo eccessivo di computer grafica.
Da puristi, che possiamo essere noi, o anche da semplici addetti ai lavori, l’idea comune è che il green screen o la computer grafica, siano il Male del mondo. Assolutamente no. Anche nel film più semplice, c’è sempre quella post-produzione digitale con ritocchino finale.
Vi basta vedere un backstage di The Wolf of Wall Street, dove possiamo scoprire che molte scene girate in esterno, in pratica quindi, nulla di visivamente o tecnicamente impossibile, è stato invece girato in studio in green screen.
Intervistando mesi fa gli addetti ai lavori della Makinarium, la casa di produzione di effetti speciali che ha curato ogni aspetto visivo e le creature de Il Racconto dei Racconti, abbiamo potuto scoprire come tecnica e computer grafica siano più a stretto contatto di quel che possiamo credere.
Il Libro della Giungla quindi, nonostante una prima parte dove il film avanza veramente con passo lento e confusionario e una seconda parte dove si risolleva e riporta il cuore a quel cinema d’avventura che tanto si ama e manca, sacrifica attori e location, consapevolmente anche la sceneggiatura, per regalarci uno spettacolo visivo, realizzato con cura maniacale, atto a narrare qualcosa che le parole non potrebbero esprimere.
Questo concetto si sta espandendo negli ultimi anni. Film come TRON: Legacy sono considerati brutti perché non hanno sceneggiatura, non lasciandosi trasportare dalla fitta architettura creata proprio con lo scopo di comunicarci qualcosa.
La foresta dove Mowgli sarà in fuga ci parlerà allo stesso modo, con le sue luci e le sue zone d’ombra, di giorno e di notte, nell’acqua e nel fango.
E’ una foresta viva e, incredibilmente, arriva allo spettatore in tutta la sua bellezza.
3D? Evitatelo per favore, è praticamente inutile. 2D tutta la vita.
Chiudiamo con un: questa storia di TRON: Legacy tornerà a galla la settimana prossima. Anzi, si parlerà proprio di tale film.
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