
Concussion, la verità nella zona d’ombra
April 22, 2016Bennet Omalu (Will Smith) è un medico patologo che si occupa di accertarsi o scoprire la causa della morte dei suoi defunti pazienti. Il suo metodo anti-convenzionale (parla con i morti, utilizza una sola volta gli strumenti per le autopsie e poi li butta via invece che farli lavare, ascolta musica R&B al lavoro, e così via) non è ben visto dai suoi colleghi e non gode di nessuna simpatia nell’ambiente ospedaliero, fatta eccezione per il suo superiore e amico Cyril Wecht (Albert Brooks) che ha voluto che lavorasse lì. Quando Omalu dovrà occuparsi del cadavere di Mike Webster (David Morse), il più grande campione di football americano di tutti i tempi, il medico scoprirà una realtà terribile sui giocatori della NFL (National Football League) e sui danni al cervello che essi subiscono sul campo da gioco tutte le volte che gli elmetti “protettivi” urtano tra loro, quando subiscono un placcaggio o vengono atterrati a terra.
Basta un solo impatto e il cervello umano può essere compromesso per sempre. L’insorgere d’istinti suicidi, l’insonnia cronica, gli scatti d’ira, sentire ossessivamente delle voci nella propria testa, possono sgretolare l’identità e l’integrità di un individuo anche decenni dopo aver ricevuto un colpo. Il cervello umano è come una massa gelatinosa contenuta dentro ad un tupperware. È un organo protetto, sì, ma fino a che punto? Come dice il Dr. Omalu “Dio non ci ha creati perché giocassimo a football”. Se già di per sé bisogna stare attenti a ogni genere di urti, provate a pensare quali effetti devastanti possano produrre delle “botte alla testa” come quelle del football americano. Non entreremo nei dettagli clinici di come una serie di micro-emorragie cerebrali e la rottura di vasi arteriosi producano questi effetti, ma vi lasciamo una gif qua sotto per immaginare cosa sia
Al di là di tutto il polverone degli #OscarsSoWhite che ha visto Jada Pinkett, moglie di Will Smith, improvvisarsi paladina di una lotta senza quartiere contro inuguaglianze combattute nella maniera sbagliata (si boicottano le feste tra adolescenti, non la cerimonia degli Academy Awards, soprattutto sei devi la tua stessa esistenza all’industria hollywoodiana), Concussion meritava un’attenzione maggiore a livello generale, non solo nelle serate celebrative con premi e premietti. Qui è doveroso aprire una piccola parentesi sul film in quanto prodotto cinematografico e sul tema che tratta.
Abbiamo visto Spotlight e The Big Short – La Grande Scommessa portare complessivamente a casa i tre Oscar più ambiti (miglior film, migliore sceneggiatura originale e non originale) e Concussion non essere candidato a nessun premio (ancora una volta, non c’interessa la polemica black power). Quindi, si può condannare la Chiesa e le sue verità occultate su abusi sessuali e pedofilia, si deve attaccare la follia del sistema economico americano e la ferocia degli squali di Wall Street, ma non si può e non si deve arrecare danni all’immagine della NFL, i cui introiti da merchandising e partite di football sono spaventosamente giganteschi e lo sport preferito dagli americani diventa una droga anestetizzante da consumare la domenica, tutti insieme.
Come si dice nel film, la domenica non più il giorno del Signore, è il giorno della NFL, che si è a lui sostituita, in un delirio di onnipotenza e potere che più reali di così si muore. E infatti si muore, sul serio. I giocatori di football vengono usati dalla NFL, riempiti di soldi (cifre comunque ridicole rispetto a quelle in mano ai dirigenti), spremuti fino all’ultima goccia di talento e poi presi a calci nel culo (di botte in testa ne hanno prese già abbastanza) e sbattuti nel dimenticatoio. Solo che la zona d’ombra nella quale vanno a finire, nel 25% dei casi è una fossa senza fondo: i danni cerebrali di cui si parlava all’inizio devastano la mente dei giocatori e le loro relative famiglie in una terrificante versione del sogno americano che ci riporta alla desolazione di pellicole come Foxcatcher.
Proprio come il capolavoro di Bennett Miller appena citato, Concussion è una storia americana, ma è anche una storia dell’orrore. Omalu è un eroe americano proprio per il suo non-essere americano. È nato in Nigeria, uno dei paesi più pericolosi e poveri del mondo ed è arrivato negli USA, dove si è fatto strada e costruito una carriera solo grazie al suo talento (e a qualche giustissima spinta dall’alto). Ma in quanto uomo di scienza, non può chiudere gli occhi di fronte alla realtà crudele di cui è testimone, guardando al microscopio la materia grigia dei giocatori di football. Omalu non è il primo a rendersi conto dei danni degenerativi di quello sport, ma è il primo a voler far luce su quel problema, esattamente come il team di giornalisti di Spotlight o il reporter di Kill the Messenger – La regola del gioco, sceneggiato proprio da Peter Landesman, il regista di Concussion.
Il problema è sempre lo stesso: il mondo con cui ci si scontra. Omalu vuole assurgere a figura prometeica, portare la luce, ma diventa ben presto evidente che quasi nessuno vuole vederci chiaro e la NFL non vuole perdere il suo pubblico, preferisce far defluire la verità in quella zona d’ombra dove i contorni delle cose si fanno più confusi e dove si dimenticano le vecchie glorie e le loro storie. E questo è quello che vogliono i tifosi, ma è anche quello che vuole il pubblico cinematografico. La vita è facile con gli occhi chiusi, come cantavano i Beatles, e la causa dell’insuccesso di questo film è presto detta: troppo spaventoso per essere accettato, troppo vero per essere amato.
Un film come Concussion ci ricorda un cinema come quello di William Friedkin, fatto spesso di non-inquadrature, di una ricerca d’immagini immediate e imperfette, d’istantanee di volti crudi e spigolosi, di realtà marce e indigeribili, di uomini e donne che non possono far parte di un mondo così spietato e quando cercano di elevarsi da esso vengono sbattuti a terra, con violenza, o, peggio, quando riescono a far trionfare la verità, la vedono decomporsi sotto i loro stessi occhi perché nulla cambia per davvero. La gente vuole solo divertirsi, la baracca continua a macinare soldi e tutti sono felici così, crocifissi e accecati.
- Scavando la fossa di Tulsa King - March 17, 2023
- L’incipit di The Whale vale quanto il resto del film: poco - March 6, 2023
- Addentando il cuore marcescente di Dahmer - February 28, 2023