
The Lobster, vietato essere single
April 29, 2016Rimanere single è illegale. Pena la trasformazione in animale. Questa è la sintesi più efficace per descrivere l’universo di The Lobster, primo film in lingua inglese dell’affermato regista greco Yorgos Lanthimos, autore del premiato Kynodontas (Dogtooth, 2009).
Ci troviamo in un futuro prossimo dove David (Colin Farrell), abbandonato dalla moglie, è costretto a recarsi in un hotel con il fine unico di trovare un partner entro 45 giorni. Allo scadere del tempo, se non avrà avuto successo nella sua missione, verrà trasformato in un animale a sua scelta, con la speranza che almeno così possa trovare una compagna. David, in tal caso, ha scelto di diventare un’aragosta (the lobster) poiché ama il mare.
Ma trovare l’anima gemella sotto costrizione non è affatto semplice, è crudele obbligare qualcuno ad amare.
Fra balli di coppia, feste, passeggiate ed altre attività ricreative, David individuerà una possibile candidata, non tanto perché quest’ultima abbia davvero catturato il suo cuore, quanto per puro desiderio di salvezza. L’istinto animale, in questo caso, predomina. Bisogna pur sopravvivere in un modo o nell’altro in questo mondo.
Eppure non riuscirà ad ingannare la donna prescelta e sarà costretto a lasciare l’hotel, cercando rifugio nei fitti boschi.
Qui inizia la sua nuova vita in compagnia dei solitari, uomini e donne che si sono opposti alla dittatura dell’amore e che, dunque, pur conducendo un’esistenza predominata dalla libertà, hanno il rigido obbligo di non amare. Peccato che proprio qui David s’innamorerà di una donna (Rachel Weisz).
Il mondo di The Lobster, sia quello pro che quello contro il sentimento affettivo, è soggetto ad etichette. Dal momento in cui si arriva all’hotel, si viene sottoposti ad un questionario in cui le risposte insicure non sono accettate, tanto meno le mezze misure. Non puoi essere bisessuale, ad esempio. O sei etero o gay, necessariamente devi schierarti. Non puoi portare un 42 e mezzo di scarpe. O scegli il 41 od il numero successivo.
La garanzia di successo di una coppia sta tutta nelle somiglianze, a quanto pare le diversità non sono ammesse. Se sei miope, è più facile che si crei affinità con un altro miope.
Queste persone è come se vivessero di catalogazioni e la reale personalità venisse completamente schiacciata, demolita, messa in secondo piano.
È assai difficile schierarsi: far parte della resistenza e ribellarsi restando single oppure unirsi a qualcuno per pura comodità? Perché l’uomo non è libero di scegliere? Esiste ancora l’amore?
Tre sono i luoghi chiave del film: l’hotel, il bosco e la città.
Per quanto siano nettamente diversi l’un l’altro, in ognuno di essi vi sono delle regole ferree ed il non rispettarle porta a conseguenze estreme.
Prendiamo in esame questi tre ambienti.
L’hotel è una vera e propria prigione. Se i gestori lo pubblicizzano come un luogo di ricerca dell’amore, a conti fatti ciò che in realtà offre è l’annullamento della propria persona. Due sono le scelte a disposizione: o fingi di amare o fuggi divenendo un traditore, un solitario appunto.
Il bosco, per quanto possa inizialmente sembrare il luogo più piacevole, nasconde ben altro dietro alla facciata. D’altronde, la libertà ha un prezzo, ed in The Lobster lo si paga caro.
Il bosco è brutale e senza cuore tanto quanto l’hotel. La vita a due è proibita, uomini e donne desiderosi di amare sono costretti così all’ennesima denaturalizzazione e chi infrange il divieto è destinato alla violenza.
I solitari sono sì indipendenti ed individualisti, ma incapaci di provare affetto, freddi, totalmente indifferenti alle emozioni.
E per finire, la città, l’ambiente dove regna la falsità e l’apparenza, dove ci si può mostrare “felici” di appartenere ad una coppia, ma in sostanza di cosa davvero si è felici? Di essere vivi a discapito delle proprie volontà? Di condurre un’esistenza di menzogne, di limitazioni?
The Lobster viaggia continuamente fra l’inverosimile, il grottesco e l’allegoria. Soffermiamoci ad esempio sulla punizione dei single fuorilegge: la trasformazione in animale. Non è forse questa una metafora?
Platone diceva che l’uomo non è altro che un’anima chiusa in una prigione di carne ed ossa (corpo), ma in continua ricerca della propria libertà ed identità. Quando le anime falliscono nella loro missione, cambiano corpo, mentre quello precedente perisce lentamente: tutto ciò prende il nome di metempsicosi.
Oramai è chiaro: in The Lobster gioia ed amore non esistono e non co-esistono, la libertà è solo un’illusione.
Guardando questo film, si ha come la sensazione che non ci sia nulla di umano in questi personaggi, come se non vivessero realmente, come se non fossero autentici nelle loro azioni.
Eppure ciò che accomuna tutti loro è la paura, quella di morire e di morire da soli, la paura di non avere abbastanza tempo da vivere, ma anche quella di condividere se stessi con gli altri.
La solitudine, d’altro canto, è un’altra prigione alla quale è difficile fuggire. Pur essendo due poli estremi, bosco ed hotel non sono poi così differenti sotto questo aspetto.
Dicono che l’amore è cieco, eppure in questo film i ciechi sono gli unici capaci di amare veramente.
Il regista si è così espresso in un’intervista a Cannes: «Alla base della storia c’è la mia personale insofferenza per la società che, dominata da regole ossessive, diventa sempre più conservatrice. Ora il pubblico è autorizzato a dargli tutti i significati che vuole».
- Venezia74: Intervista a Pengfei, regista di The Taste of Rice Flower - October 5, 2017
- Venezia74: Il Colore Nascosto delle Cose, centoquindici minuti di banalità - September 14, 2017
- Venezia74: Caniba, una lente d’ingrandimento su Issei Sagawa - September 10, 2017