
Valhalla Rising, sanguinosa allegoria di un dio
May 20, 2016Valhalla Rising, regia di Nicolas Winding Refn. Pellicola cardine che firma il superamento di una prima fase cinematografica (Trilogia di Pusher, Bleeder, Bronson), allo scopo di penetrare un’estetica più intima, simbolica, incredibilmente personale al punto da coincidere con le sue reiterate ossessioni (Drive, Solo Dio perdona). Bronson, in particolar modo, venne vissuto come catarsi dallo stesso regista, un urlo grottesco di minuziose geometrie e caleidoscopio di colori primari, in cui affermare il principio dell’arte come atto di violenza e lo studio dei corpi come mezzo privilegiato per veicolare il senso dell’opera.
Valhalla Rising, lontano dai dialoghi viscerali della nebbiosa Copenaghen dei suoi Pusher, è immerso in un placido, insistente silenzio. Le atmosfere suburbane dei film successivi, irresistibili con i neon sfrigolanti e il rosso ipersaturo di atmosfere impregnate di simbolismo, e lontane ormai dalla camera a mano e dei colori slavati delle prime opere, insistono ancora sulla necessità del silenzio. È emanazione naturale di personaggi ovattati, incapaci di relazionarsi al mondo, in cui il silenzio è una straordinaria difesa e un veicolo per contemplare la propria alienazione, da cui deriva il sostanziale fallimento sociale (il fil rouge di tutte le opere di Refn).
In questo lussureggiante silenzio si compone un’opera surrealista, che rinuncia alla parola per evocare il significato attraverso la fisicità e la preponderante presenza della natura. Panoramiche sterminate, glaciali, contaminate da una nebbia persistente a sottintendere una ferocia a stento dominata, ossessivi campi vuoti degli ambienti brulli della Scozia. È questo lo sfondo, e in realtà protagonista, del cuore secco della vicenda, l’esodo di vichinghi cristiani nel tentativo di raggiungere la Terra Santa e convertire/sterminare gli infedeli pagani. Il protagonista, One Eye (Mads Mikkelsen, consacrato con Il sospetto di Thomas Vinterberg), è l’elemento che conduce il film da un piano narrativo realistico ad una dimensione di surrealismo modulato con elementi onirici, che consentono di scorgere chiavi di lettura intessute in un sottile simbolismo: è un eroe vichingo dotato di forza sovrumana e capacità di prevedere il futuro (evidenziata da rapide sequenze dominate da tonalità rosse e lucenti), possibilità di comunicare telepaticamente con un bambino, l’unico che lo accudisce nella sua iniziale condizione di cattività e unico elemento d’innocenza del film. Si tratta di un essere mitologico dalle potenzialità divine, violento e vendicativo, imperscrutabile nella sua (a)moralità.
Refn fonde il fantasy di un racconto d’avventura al conflitto filosofico tra il monoteismo cristiano e il politeismo dei pagani, ad un livello allegorico, incedendo per metafore visive, pur con un atteggiamento anticlericale più o meno esplicito. One Eye si unisce, insieme al bambino, al viaggio dei cristiani e ascolta le loro speculazioni dottrinali circa la necessità della conversione, senza troppo mascherare il desiderio di conquista e di ricchezza che deriverebbe dalla sottomissione dei pagani. La vicenda, divisa in sei parti, racconta da un punto di vista strettamente diegetico l’esodo disastroso del gruppo che, dopo un naufragio avvolto dalle tinte color seppia di una nebbia implacabile, approda, invece che in Terra Santa, in America, in un territorio popolato da indigeni, inesplorato, aspro quanto la Scandinavia di partenza, severo e incontrovertibile nel dominio della Natura, immobile e coerente nelle proprie leggi dal sapore malickiano.
I cristiani si abbandonano ai loro istinti ancestrali, a deliri di onnipotenza e di conversione delle genti locali, con l’idea di costruire una Nuova Gerusalemme nel segno di un’onnipotente Croce sanguinaria. One Eye, abbandonando il gruppo al proprio destino, si avventura con il bambino verso le sponde del mare, portandolo in salvo dagli indigeni, fornendo il proprio corpo in sacrificio. Quest’America selvaggia e popolata da leggi ancestrali sarebbe, a detta del bambino che legge i pensieri dell’eroe, l’incarnazione dell’Inferno. L’essere umano, che ha osato mettere in atto l’aberrazione dello sterminio dei popoli in nome del Cristo, rinunciando all’armonia che la Natura gli aveva concesso nel dispiegamento della sua esistenza, deve ora subire la sua necessaria vendetta, un’epurazione catartica per ripristinare l’ordine primordiale delle cose, con il risultato di annientare ogni individuo, compreso One Eye, per lasciare in vita l’unico essere che reca in sé quell’innocenza in grado di preservare una vita autentica, rinnovata, purificata: il bambino.
Le sei parti della vicenda, spogliate del pretesto della trama, raccontano più intimamente l’evoluzione dell’uomo/eroe One Eye, a partire da una condizione di prigioniero, passando per un guerriero dalle potenzialità divine, per poi esitare nel sacrificio, l’atto di estrema umanità, scaturito dalla purezza del dialogo silenzioso col bambino, che è reale portavoce della redenzione dell’Uomo, finalmente lontana dall’arroganza dei cristiani, avidi e scaltri farisei. Il suo atto sacrificale è raccontato con un efficacissimo montaggio parallelo nel finale, che vede il corpo martoriato dagli indigeni associato alla sequenza allegorica del suo suicidio nelle acque, a sottolineare visivamente/simbolicamente il suo volontario ingresso nella terra dei morti.
Questo aldilà, a chiudere una parabola cristiana di sacrificio del proprio corpo (e, come il Cristo, per rinunciare alla propria divinità per purificare il mondo dal peccato), è invece incasellato nella matrice mitologica del Valhalla. One Eye è degno di accedere al Valhalla (da cui il rising del titolo), la residenza degli eroi morti gloriosamente in battaglia, che combatteranno al fianco del dio Odino nella battaglia finale del Ragnarok. La continua fusione tra le due culture, pagana e cristiana, a convergere in una spiritualità comune, potrebbe essere il tentativo di Refn di abiurare ogni violenza, ogni sterile dottrina teologica, per ritornare ad essere uomini e placare le ire di una Natura che, dopo averci partoriti, è disgustata dalle nostre derive morali/materiali. Il silenzio è il veicolo privilegiato per una riflessione di così ampia portata, seppure la sua interpretazione non sia agevole per la presenza di una complessa rete di simboli, geometrie, sguardi, inquadrature, che vivono di un immobilismo che non concede alcuna spiegazione, lavorando forse ad un livello più intimo, istintuale, che consente plurime chiavi di lettura, senza la pretesa di conferire un senso unanimemente accettato.
In questo universo di mitologia norrena, in cui l’immagine avanza sino a coprire ogni altro aspetto della pellicola, emerge un sonoro in (apparente) violento contrasto con la narrazione: la musica elettronica di Peter Kyed e Peter Peter (l’impatto musicale, così anacronistico e martellante, ossessivo, incalzante nel suo ritmo sfrenato, si allontana dai margini dell’immagine e diviene dominante, in primo piano, in particolare nella sequenza sub-reale dei deliri dei cristiani, nella loro irreparabile perdizione ad un passo dalla morte). Accanto alle possenti immagini di una Natura atavica, l’idea del male, della violenza, del dolore perpetrato dagli umani viene veicolato dalla musica, portavoce (assieme al sangue e agli sbudellamenti) della potentissima catarsi, oltre che un modo per attualizzare problematiche che, se affidate esclusivamente ad immagini immobili o ai ralenties, potrebbero suscitare un senso di estraneità, per una eccessiva convergenza nella dimensione surreale e favolistica del mito.
Al termine della visione emergono interrogativi, e l’idea che le risposte siano uniformemente distribuite nel corso della pellicola, non pienamente in grado di essere comprese ad una visione distratta (forse neanche ad una visione più attenta). Più che dispensare risposte, Refn semina il dubbio, in opere che perdono progressivamente contatto con la materia grezza di cui sono fatte le esperienze degli uomini, per sublimarle in un universo di architettura simbolica ed allegoria di colori, a comporre enormi, controverse proiezioni mentali.
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