The Neon Demon, estasi ipnotica

The Neon Demon, estasi ipnotica

June 14, 2016 0 By Alessio Italiano

The Neon Demon è il nono film del regista danese Nicolas Winding Refn, presentato in concorso al Festival di Cannes 2016. Ancora una volta Refn, con questo suo nuovo film ha destato l’attenzione e diviso critica e pubblico che a Cannes ancora una volta dopo Only God Forgives hanno fischiato. Ma è mai possibile che questo regista sia talmente tanto incompreso? E’ un genio o soltanto un regista visionario che bada più alla forma e l’apparenza che al contenuto?

In The Neon Demon troviamo Jesse (interpretata da Elle Fanning, sorella di Dakota)  16enne che si trasferisce a Los Angeles per cercare di sfondare nel mondo della moda, un modo apparentemente fatto di feste e party al neon che a poco a poco si trasformerà in qualcosa di più sinistro e pericoloso. Jesse è la nuova dea, la musa che tutti i fotografi e gli stilisti vogliono, la vergine, la bellezza pura e naturale, tutti vogliono un pezzo di Jesse, dalle sue colleghe “rifatte” e invidiose, alla truccatrice morbosa che non vorrebbe lasciarla mai un minuto da sola. Jesse vive in uno squallido motel diretto da un sadico direttore interpretato da uno straordinario Keanu Reeves, un’uomo che sembra avere brutte intenzioni con la giovane modella. Cercherà di aiutarla Dean, un giovane aspirante fotografo che farà di tutto per tenerla con i piedi per terra e di tenerla lontana da persone e sguardi inquietanti.

Detto cosi il nuovo film di Refn, sembra avere una delle storie più classiche e semplici di questo mondo, quasi una moderna fiaba, e di fatto lo è, il regista esplora l’animo puro di una giovane ragazza, dal passato forse turbolento, che non ci è dato sapere con certezza, a parte i discorsi tra lei e la madre che in seguito rivelerà alle sue colleghe di lavoro, una giovane pura che perderà la sua innocenza giorno dopo giorno, sfilata dopo sfilata, fino a quando diventerà a tutti gli effetti una modella da chiusura di sfilata. Tutti guardano Jesse, lei rappresenta la classica Lolita, il desiderio di tutti gli uomini e donne, quella che tutti vogliono essere o avere e in quel mondo fatto di invidia, rancore, odio e repulsione, tutti vogliono una fetta del suo animo, del suo corpo, della sua bellezza.

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In una L.A. fatta di luci al neon stroboscopiche, di trucco e vestiti sgargianti, Jesse impara a sue spese che la sua bellezza ha un prezzo da pagare, quello della perdita dell’innocenza, della purezza. Jesse a poco a poco si trasforma in quello che tutti vogliono, carne da macello. Il regista danese conosce bene questo mondo, trasferitosi in giovane età a New York, con i genitori amanti della Nouvelle Vogue, Refn invece preferisce i film d’exploitation e i cult horror, non a caso il suo film preferito e rivelatore fu Non Aprite quella porta di Tobe Hooper del ’74, e questo film assorbe entrambi gli aspetti di una cultura che il regista applica il più delle volte nell’estetica dei suoi film, in particolar modo gli ultimi due. Tante sono le ispirazioni e le influenze che Refn ha applicato a questo film, in particolar modo si può riconoscere il gusto e l’estetica dei classici di Argento, come Suspiria, l’uso delle luci e alcune inquadrature ne sono un chiaro e limpido omaggio, non a caso lo stesso Refn ha definito Suspiria il “cocaine-movie” definitivo, e ancora molti potranno vederci somiglianze con lo stile di Kubrick fino a quello di Lynch ma io preferisco più riconoscerlo come marchio di fabbrica di NWR, come ormai appare anche prima dei suoi film. Il regista sta piano piano costruendosi attorno una certa fama e reputazioni di regista d’autore, ed a ragion veduta aggiungerei, non tutti i suoi soggetti sono degni di essere ricordati tra le sceneggiature più originali, ma è il modo con cui vengono concepite e girate le sequenze (Refn utilizza dei fogliettini come schema delle sue scene prima di realizzare la sceneggiatura), con lunghe carrellate, lentissime sequenze e primi piani ad inquadrare lo splendore delle sue protagoniste, su tutte ovviamente quella di Elle Fanning che suscita un forte senso di amore morboso, di pari passo a quello dei suoi invidiosi co-protagonisti.

tnd737Refn come a suo tempo nel 2014 Cronenberg, con Maps to the Stars, realizza un’opera destabilizzante sul mondo di Hollywood, un mondo che troppo spesso viene etichettato come patria dei sogni e dei sognatori, dove chiunque può essere quello che vuole e realizzarsi, con impegno e determinazione; ma anche un mondo che spesso, il più delle volte, sotto la sua facciata di bellezza e appariscenza nasconde dentro dei demoni, un mondo quasi “oscuro”, dove bisogna sacrificare qualcosa per ottenere il risultato desiderato. C’è una frase che nel film mi è rimasta impressa, pronunciata dallo stilista interpretato da Alessandro Nivola: “La Bellezza non è tutto, è l’unica cosa”, una frase che va a suggellare la critica di Refn nei confronti del capitalismo, del mondo dello showbiz e di quelle “povere” donne costrette a vivere una vita fatta di sacrifici (la dieta ferrea, la chirurgia estetica) pur di restare sempre al top nell’olimpo di Hollywood.

Un demone che si annida dentro l’animo di ciascuno delle protagoniste, fatto di sesso, violenza, sangue, cannibalismo e necrofilia; impulsi che il regista non tiene nascosti e che rivelerà nello scioccante atto finale in cui tutti i nodi verranno al pettine e ciascuno avrà il suo “prezzo” da pagare. Probabilmente Refn, anche se forse non lo ammetterà mai, per le sequenze finali e in particolar modo quella di necrofilia, si sarà sicuramente ispirato ad un altro cult underground come “Nekromantik” di Jorg Buttgereit, e alla figura della serial killer ungherese Elizabeth Barothy, una contessa del cinquecento che uccideva le sue vittime, giovani donne per cibarsi e bagnarsi nel loro sangue cercando di mantenersi giovane e bella. Un’ispirazione che è stata già portata sullo schermo da un altro talento del panorama cinematografico horror, Eli Roth, con il suo Hostel 2.

tndgif883Un’altra peculiare caratteristica del marchio del regista danese è il suo essere daltonico e dislessico fino all’età di 13 anni, Refn infatti a causa di questi disturbi/difetti avuti durante il trasferimento a New York con la famiglia, ha sviluppato una forte predisposizione per le immagini dai fortissimi colori, accesi e sempre diversi tra loro. Ultimo ma non ultimo, bisogna fare una menzione particolare al compositore della colonna sonora Cliff Martinez, qui arrivato alla sua terza collaborazione con il regista danese, ancora un volta Martinez con il suo sound inconfondibile riesce a fare centro, ispirandosi ai Goblin e ai classici sound degli horror italiani anni ‘70,  Martinez compie un lavoro magistrale che ricorda tanto quello dei Disasterpeace per il recente It Follows, altro film che Refn non ha nascosto aver apprezzato e che forse ha attinto a più della semplice colonna sonora per il discorso della purezza, del sesso, della giovinezza e della perdita dell’innocenza.

In conclusione, The Neon Demon è un film che sta facendo e farà discutere ancora per molto tempo, vuoi un po’ per le sue scene “scandalose”, ma anche per l’estetica e la linea filosofica che il regista sta ormai continuando e seguire da un paio di anni a questa parte (Drive, Solo Dio Perdona, ma anche Valhalla Rising), uno stile inconfondibile che però non riesce ancora ad unire definitivamente pubblico e critica e a consacrare questo giovane “punk” danese che ad ogni suo film ci stupisce e ci immerge in un mondo tutto suo e che forse non tutti riescono a comprendere e a lasciarsi trasportare, io sono già in attesa di rivederlo e curioso di conoscere i suoi prossimi progetti, perché un talento cosi va curato e coccolato, prima di ritrovarci sommersi da film “demoni” tutti uguali a loro.

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Alessio Italiano