
Like Someone in Love e Copie Conforme: due sguardi di Abbas Kiarostami
August 17, 2016Italia e Giappone. Cortona/Arezzo/Lucignano e Tokyo. Gli ultimi due lungometraggi di Abbas Kiarostami rappresentano casi unici all’interno della sua filmografia da sempre improntata al racconto e alla comprensione dell’Iran, sua terra d’origine nella quale era nato, vissuto e aveva iniziato a fare cinema quando questa si chiamava ancora Persia. Fatta eccezione per il segmento da lui diretto in Italia all’interno del progetto Tickets (co-regia di Ken Loach ed Ermanno Olmi in altrettanti episodi) e il documentario ABC Africa sul problema dell’AIDS in Uganda, Kiarostami si è sempre distinto per aver girato le sue pellicole sul territorio iraniano.
Copie conforme (2010) e Like Someone in Love (2012), che rappresentano entrambi il testamento cinematografico di Kiarostami, segnano un’inversione di tendenza e testimoniano la cifra stilistica da lui raggiunta.
In Copie conforme lo spettatore assiste ad una farsa e ad un grande inganno: una donna di cui non è dato sapere il nome (Juliette Binoche) è un’antiquaria francese trasferitasi in Italia per lavoro e ivi rimasta. Un giorno incontra James (William Shimell), un saggista interessato alla storia e all’arte, e insieme a lui trascorre una giornata nella campagna toscana. I due, che in linea teorica non si sono mai visti prima d’allora, da un certo punto in avanti del film fingono di essere una coppia sposata da tempo e, così facendo, finiscono con il parlare con toni talmente seri (e di argomenti che sembrano conoscere così bene) da sembrare veramente un marito e una moglie in crisi. Sullo sfondo della storia principale e tra le vie di Lucignano, le loro vite s’incrociano a quelle di veri sposi, quasi tutti nel loro giorno di nozze, tra ansie, preoccupazioni e gioia per il futuro che aspetta loro.
Tutto il film gira attorno al concetto della “copia”. Un qualcosa è considerato originale molto spesso per convenzione e la sua reale natura di “falso” può essere smascherata anche dopo secoli interi. Kiarostami s’interroga su quale possa essere un rapporto sincero, su cosa si basi, su quali siano i suoi elementi fondativi e finisce volutamente col non fornire una risposta perché non è quello il punto della questione. I suoi due personaggi si perdono in strade, stradine, vie, viuzze del tutto simili tra di loro e il loro corpi si sdoppiano, si scompongono e si perdono in una moltitudine di specchi sparsi per tutto il film che altro non fanno che fornire, per l’appunto, una copia uguale e diversa di loro stessi. Un film coscientemente costruito sulla confusione e sull’imbroglio della propria trama, all’improvviso ingarbugliata e impossibile da dipanare nel suo groviglio neanche tornandovi indietro getta luce su di una delle poche certezze dell’esistere: l’impossibilità del poter nascondere le impronte a terra quando si fa un passo falso e ripartire da zero.
Lo stesso Copie conforme è un film che nasce da premesse del tutto peculiari: Juliette Binoche si reca a Teheran e incontra Abbas Kiarostami (i due avevano lavorato poco prima per il film Shirin) e quest’ultimo le racconta un aneddoto che altro non è che una sinossi del film stesso, ma a lei non lo dice fin da subito. Solo alla fine di quella conversazione Kiarostami cala il sipario e le dice la verità sul film su cui sta lavorando. La reazione e l’espressione stupita dell’attrice francese costituiscono fin da subito il motivo principale che spinge il regista alla realizzazione vera e propria di Copie conforme.
La crisi di coppia, seppur raccontata sfiorando toni dell’assurdo, è solo il pretesto per descrivere con tratti essenziali la diversità tra l’universo maschile e quello femminile, con un occhio di riguardo proprio verso quest’ultimo. La delicatezza e la grazia con cui viene scritto, descritto e mostrato il personaggio di lei, protagonista senza nome, è una dichiarazione universale d’amore nei confronti della Donna, i suoi continui sforzi, le sue quotidiane fatiche, le costanti spinte verso il cambiamento e il raggiungimento di un qualcosa di nuovo. L’Uomo è invece una figura alla porta, sempre pronto ad fuggire, perennemente infelice e incapace di non soffermarsi sui dettagli più insulsi per contemplare “un disegno più grande”.
– Devi per forza andare?
Lui era in piedi accanto al letto, nudo.
– Dovrò sempre andarmene.
(Don DeLillo, L’uomo che cade)
Il tocco registico più elegante e autocelebrativo di tutto Copie conforme sono però quei rosei fiori, le cui piante sono ben piantate in vasi dove hanno fatto le radici, già mostrati vent’anni prima sul motorino guidato con spericolatezza in Close Up, piegati dall’aria e in movimento da un luogo ad un altro.
Di diversa natura, per nulla legata al mondo dei sentimenti quanto più a quello dell’affetto, è la storia di Like Someone in Love, che vede l’anziano Takashi (Tadashi Okuno) prendersi cura della giovane e sperduta Akiko (Rin Takanashi) con un’attenzione pari a quella che un padre/nonno avrebbe nei confronto di una figlia/nipote. Narrativamente parlando, il problema irrisolto del film è che lei fa la studentessa di giorno e la prostituta di notte per tirare su qualche soldo e lui, un professore in pensione, sembra essere più interessato a offrirle tutto ciò che le manca (un punto di riferimento, un posto sicuro, un pasto caldo) piuttosto che al sesso.
Al di là degli innegabili riferimenti all’opera di uno dei massimi esponenti del cinema giapponese, Yasujirō Ozu (per altro già omaggiato in Five – Dedicated to Ozu), nell’incorniciare -con essenzialità e rigore geometrico- le sue inquadrature, Kiarostami sembra in più di un’occasione voler citare un altro illustre maestro, Alfred Hitchcock. Avulse da un qualsiasi contesto nipponico, i riferimenti cinematografici al regista britannico (da Vertigo, quando la protagonista si specchia in un dipinto di una donna con la stessa acconciatura, al “Que sera, sera” da The Man Who Knew Too Much canticchiato in automobile, passando per una vicina impicciona che spia tutti dalla finestra come il James Stewart di Rear Window) s’inseriscono in una Tokyo tascabile in cui tutto pare essere a portata di mano, in cui le distanze sono relativamente brevi e dove tutti sembrano conoscersi. In quello che si è rivelato essere il suo ultimo film, Kiarostami guarda e mostra il Giappone in un modo inusitato, ma con grande umanità.
Occorre concludere con un altro aneddoto. Negli anni ’90, durante il suo primo viaggio nella capitale giapponese, Kiarostami vede una donna vestita da sposa a bordo della strada e nei suoi successivi soggiorni in quella città il regista si rende conto di stare ancora cercandola, conscio di non poterla più riconoscere per via degli abiti “civili” che starebbe vestendo. Questa immagine, tuttavia, continua a riverberare con grande potenza nella sua mente a tal punto da “spargere” giovani spose per tutto Copia conforme e, poi, di ambientare un intero film a Tokyo, rendendo immortale se stesso, i personaggi da lui creati, le storie da lui scritte e non vanificando l’ispirazione fornitagli, come in un sogno, da quella donna. Un’immagine eterna.
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