Videodrome, smarrirsi nell’arena di sesso e morte

Videodrome, smarrirsi nell’arena di sesso e morte

August 23, 2016 0 By Angelo Armandi

La forma del Videodrome: dalla televisione al web.

Videodrome, opera definitiva di David Cronenberg, è allegoria di un imponente discorso morale sulle pulsioni più perverse che, attraverso la televisione, trovano uno sbocco preferenziale per compiacere, pur visivamente, ogni istinto più bieco.

Lo schermo televisivo ha sostituito l’immagine del reale su cui si fonda la percezione delle cose: come occhio della mente, ha disumanizzato le fantasie, desensibilizzato agli anfratti marcescenti del mondo, depersonalizzato la coscienza. Il discorso di Cronenberg, datato 1983, è vecchio in relazione al mezzo, ma attuale nel concetto (il che sottolinea tanto il potere profetico dell’opera, quanto la sostanziale invariabilità dei percorsi mentali intrapresi dall’uomo nell’approccio esperienziale).

Il Videodrome, oggi, assumerebbe una forma diversa, pur con i medesimi effetti: cosa spaventava Cronenberg della televisione, che non potrebbe essere riconducibile anche al web? Era giunto a realizzare all’interno del film un’intera sequenza di vagabondi in una Chiesa sui generis, la Chiesa Catodica, intenti a pregare davanti a schermi televisivi, completamente isolati tra di essi, a comporre un tetro arcipelago di fauna umana che ha sacralizzato la televisione: urgeva comunicare qualcosa di visivamente potente per scuotere le coscienze dalla lobotomia delle idee praticata dai media.

In fondo, il Videodrome appare essere uno snuff movie trasmesso su frequenze criptate da parte di un satellite delocalizzato in totale anonimato: straordinario il potere dell’anonimato, tanto conosciuto dalla generazione che è approdata al mondo dopo l’alba del web! Libera le sovrastrutture mentali più segrete e di cui ci si vergogna, le legittima, le fornisce un corpo attraverso la visione sul monitor, pur abbruttito dai pixel, consuma ogni immaginazione, concede il brivido dell’illecito.

La colpa è di chi guarda, certamente. E chi guarda lo snuff Videodrome se non Max Renn (James Woods), il direttore di una piccola emittente televisiva locale? Renn è il perfetto personaggio cronenberghiano: brillante, ambizioso, sufficientemente amorale da compiacere la sua smania di curiosità, una pedina della scacchiera del regista composta da tanti piccoli Ulisse danteschi. Renn vuole scoprire la fonte del Videodrome, per acquistarlo e trasmetterlo sulla sua rete, seguita da un minuscolo pubblico di segaioli perversi a cui fornisce porno di bassa lega. Per questo motivo, Renn verrà punito: la logica di Cronenberg è lucida, si muove di moto rettilineo uniforme, prima di scivolare in un abisso visivo di carnalità orrorifica (uno schema ben rodato su cui si erge la poetica del body horror).

A questo proposito, Videodrome, dalla sua posizione di vetta da cui guarda tutta la cinematografia del regista (e non solo), è una pellicola di perfetta transizione dalle opere precedenti, più strettamente legate all’impatto visivo della mostruosità della carne, che muta al disvelamento dell’orrore insito nell’anima di gente spregiudicata (soprattutto scienziati, col potere di sperimentare abiezioni). Allo stesso tempo, è capostipite dei film successivi, che si slegano progressivamente dall’immagine per imboccare discorsi più teorici, estesi a porzioni sempre più ampie di popolazione, fino a raggiungere moniti di moralità (quasi dimenticata) di valore universale.

 

La colpa: la visione come allucinazione e tumore.

Si scopre poi che è il messaggio del Videodrome, non l’immagine, ad essere nocivo. Si insinua lentamente nel cervello e provoca danni irreparabili. La spiegazione degli effetti, col rigore scientifico proprio del regista, viene affidata al Professor O’Blivion (dal nome paradigmatico), coinvolto nell’affare Videodrome e portavoce del massimo impeto profetico sull’evoluzione del tubo catodico omologata a quella dell’uomo:

“La lotta per il possesso delle menti in America dovrà essere combattuta in una videoarena, col Videodrome. Lo schermo televisivo è ormai il vero unico occhio dell’uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo forma una parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione.”

La punizione, per Renn e per l’uomo squilibrato (una definizione approssimativa, utile però per una riflessione successiva), è l’allucinazione, anticamera dell’orrore, che cresce nel cervello in forma di tumore. Il Videodrome, che raccoglie gli istinti turpi dell’uomo, si materializza in neoplasia, un elemento sufficientemente disgustoso da elevarsi a brillante allegoria della tossicità dei media: cresce con calma, ma progressivamente, è egoista e avanza inevitabilmente nella distruzione della sostanza attorno, modifica la struttura del cervello fino a distruggerlo del tutto: il Videodrome può rinascere su nuove fondamenta, in individui privati della propria identità e asserviti al messaggio mediatico.

Il web ha esasperato questo processo di massificazione, catalizzato dalle derive populiste e dall’opinionismo di chi non sa (ed è stato infine privato del sacro vincolo del silenzio), mentre la pornografia, in parallelo, ha addormentato la pulsione per la carne reale, concedendo al cervello un piacere più immediato, il soddisfacimento della visione: il web ha sancito il reale trionfo del sistema limbico, la parte più antica del cervello, legata alle pulsioni, alla forma irrazionale che assume l’uomo slegato dalla ragione e dalla legge.

Queste allucinazioni appaiono nella forma seducente del degrado morale: gemiti che divengono desiderio sessuale e uno schermo televisivo che si gonfia e come una vulva accoglie il volto di Renn, lo ingloba in una massa gelatinosa di perdizione all’interno della sua rete, facendosi palpeggiare con la promessa di un piacere dal sapore di morte. La violenza e il sesso, uniti nella forma dello snuff, provengono dalla stessa matrice viscerale e sono accomunati dalla stessa potenza emozionale.

Ancora, lo squarcio sull’addome di Renn a forma di vulva in cui inserire videocassette per riprogrammare l’individuo e registrarne i pensieri, o affondare la mano per estrarne un’arma, successivamente conficcata nell’avambraccio, come una fusione simbiotica che suggella la nuova carne: sublime intuizione della materia pulsante del body horror, un processo catartico che lavora sulle origini della contaminazione del corpo da parte della tecnologia, cui l’uomo è indissolubilmente legato: si nutre di essa, si uccide per essa, perdendo lentamente la cognizione del reale e immergendosi in un abisso di solitudine e paranoia. L’uomo e lo schermo, in un rapporto di commensalismo, si bramano vicendevolmente e si logorano fino ad appassirsi (e la sequenza finale di Videodrome è efficacissima in questo senso, a consumare l’intera sintesi cronenberghiana).

 

La punizione: una redenzione possibile?

La punizione sfrutta gli stessi meccanismi della colpa: il Videodrome nasce come sistema per contrastare gli impulsi più bassi, come un virus inserito tra i fotogrammi che infetta chiunque lo veda, allo scopo di sterminare gente perversa.

Con un metodo altrettanto perverso. Ripristinare il rigore morale. L’ortodossia che diviene bigottismo. La liberazione delle anime presuntuosamente definite pure, allontanate infine da ogni forma di inquinamento. Si tratta di abbattere l’eclettismo biologico (deprecabile forse, ma pur sempre autentico), in favore, ancora, della massificazione, attraverso lo stupro di colui che è ritenuto stupratore (un messaggio politico molto forte, di derivazione kubrickiana: Andy Warhol definì Videodrome come l’Arancia Meccanica degli anni Ottanta, pur senza congiuntive spalancate).

Il potere, da grande burattinaio, è meno esplicito che in Kubrick, presente in forma sottile, poco appariscente, al punto da sembrare innocuo, eppure macchiato dall’impudenza di riconoscere chi sia l’uomo squilibrato. Non si è in grado di discriminare il bene dal male, e si rimane in un limbo di smarrimento, senza alcun principio di direzionalità: è in questo che alberga il vero orrore dell’opera (il terrore suscitato dalle derive antropologiche rimane il più efficace tra tutti). Il potere usa ogni mezzo disponibile per la repressione, mascherandola da bene superiore (un concetto abusato nella storia della coscienza dell’uomo), con la complicità della televisione prima, del web dopo, che oltre ad assottigliare la mente hanno inebetito la capacità di discriminazione delle cose. Una popolazione dormiente è una popolazione che non farà mai alcuna rivoluzione: il nostro cinema, coevo a quello di Cronenberg, ha focalizzato l’attenzione sulle dinamiche più oscure del potere, e il potere, confermando ciò che veniva proiettato, agiva di conseguenza (penso alla copia di Todo Modo di Elio Petri che fu trovata bruciata a seguito del sequestro dalle sale).

Max Renn diventa l’arma perfetta per la purga, in una spirale di violenza, serva del potere (al di là del bene e del male, in una forma anarchica, come sosterrebbe Pasolini), che non ammette dubbi e compromessi. Renn ripete autisticamente, da buon burattino nella sfera delirante/allucinatoria in cui è precipitato:

“Morte a Videodrome, gloria e vita alla nuova carne!”

Questa nuova carne cosa sarebbe? Da che parte sta, vorremmo chiederci, non distinguendo la realtà dalla finzione (Lynch!). Esiste una redenzione? Dalla punizione finale di Renn possiamo intuirlo, eppure il dubbio, orribile, permane a dominare l’intera parabola di Videodrome.

Angelo Armandi