
I giorni dell’arcobaleno, Larraín e il NO contro la dittatura
August 29, 2016“Un arcobaleno? Ma non è da froci?” il generale vicino a Pinochet bolla così il simbolo scelto da un giovane pubblicitario per la campagna elettorale a favore del NO. L’esibita virilità come principio portante del fascismo si scontra con gli stereotipi, femminei, un po’ da checche, scelti dai comunisti: pic-nic, balletti, jingle, fratellanza e allegria. Siamo in Cile, 1988: Pinochet guida il paese ormai da quindici anni. A causa delle pressioni internazionali dopo alcuni incidenti diplomatici, e per ottenere una sorta di legittimazione agli occhi degli altri paesi, il governo cileno decide di indire un plebiscito: il popolo è chiamato a votare SÌ nel caso in cui voglia Pinochet come capo del governo per altri otto anni, NO in caso contrario. I piccolissimi partiti dell’opposizione – una miscellanea che comprende la democrazia cristiana, i socialisti e i comunisti – si mettono in moto per cercare di convincere al no il popolo cileno, restio a deludere le aspettative di un governo fortemente repressivo: per un’efficace campagna elettorale ingaggiano dunque un giovane pubblicitario (Gael García Bernal:). Che l’opposizione abbia quindici minuti per dire quel che vuole nella TV di Stato, è un’occasione da non lasciarsi sfuggire.
Il film di Pablo Larraín racconta dunque il concepimento, la gestazione e la realizzazione della campagna del NO, con tutte le difficoltà e i problemi che l’espressione del dissenso, seppur autorizzata, può avere sotto una dittatura. Il gruppetto di coraggiosi che idea la campagna elettorale è continuamente monitorato, nonché minacciato, dai galoppini di Pinochet. Siccome Pablo Larraín è figlio del Sud America, ha spesso scelto come soggetto per i suoi film storie legate alle vicende politiche della sua terra.
Due anni dopo No – I giorni dell’arcobaleno Larrain girerà Il clan, storia famigliare dalle forti tinte noir ambientata nell’Argentina post guerra delle Falkland. In No – I giorni dell’arcobaleno ha preferito girare in formato immagine 4:3, con una resa molto bassa in termini di qualità, cercando di mantenere una certa continuità stilistica con i video di repertorio. Tuttavia, non è raro che l’accanimento sul realismo rischi talvolta di scadere nel manierismo e nella pedanteria. E’ un peccato, perché il film è narrativamente efficace, ed ha una recitazione livellata sulle movenze quotidiane che avvicina lo spettatore alle vicende raccontate. Per la prossima prova, Pablo, meno delicatessen cinefile e più attenzione all’insieme, meno velleità artistiche che, invece di accentuare il realismo, lo depauperano: l’ottima materia c’è già, ed è il sangue caduto sulla terra del Sud America.
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