
Venezia73: Omaggio ad Abbas Kiarostami
September 1, 2016Venezia73. Appuntamento con l’omaggio al regista iraniano Abbas Kiarostami scomparso quasi due mesi fa. I frammenti raccolti nell’arco degli ultimi anni e montati tra questo luglio e agosto dall’amico e collaboratore Seifollah Samadian sono stati proiettati durante la prima giornata della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Progetti paralleli alle pellicole del regista che mixano le altre sue passioni tra fotografia, pittura e poesia presentati da Samadian e da uno dei due figli di Kiarostami: Ahmad.

Il primo, Take me Home (17 minuti), è la lunga sequenza di un viaggio di un pallone lasciato da un bambino fuori dalla porta di casa e che inizia a rotolare giù lungo le scale di pietra di un borgo iraniano in bianco e nero. Il silenzio riecheggia nelle discese inabitate, nel pomeriggio che lentamente scivola tra le ombre proiettate sui muri intorno, tra gli sfondi immobili. Seguiamo l’avventura di un oggetto/protagonista che rimbalza e continua nella sua discesa, indisturbato. Un paio di gatti fuggono sentendolo arrivare, un cane abbaia quando gli passa accanto, i vasi lasciati ai lati dei gradini sembrano tracce di un confine interno/esterno. Ma il ritorno al punto di partenza e’ tutto in salita: saranno le mani del bambino ad acchiapparlo per riportarlo a casa con sé.
76 minutes and 15 seconds rimandano all’età ultima del maestro: sono sequenze di un documentario in cui lo vediamo dall’altra parte della macchina da presa come il protagonista che ci accompagna durante i suoi sopralluoghi fotografici nei paesaggi iraniani che abbiamo conosciuto nei suoi film. La campagna d’inverno: due strisce lasciate da una macchina nella neve risalgono la collina per essere catturate dalla Leica. Kiarostami lo vediamo poi sdraiarsi sulla spiaggia, in mezzo alle oche che sfilano lungo la riva, lo circondano per afferrare il pezzo di melone che tende loro. I suoni ricostruiti in seguito insieme ai collaboratori, in studio: il riso pestato con le dita “sembra più vero” dei piedi sulla sabbia. Le ore scandite tra la darkroom e il montaggio video. Le soluzioni trovate per caso, nelle ombre lasciate dalle sigarette in fila sul tavolo per ricostruire un’ idea di foresta con tubi rivestiti di verde. I workshop nei prati veri con i consigli del maestro ai giovani studenti di Cinema: sul come togliere parole superflue per non far perdere il significato di ciò che si scrive. La musica classica che accompagna i readings di Kiarostami delle sue poesie (in Italia raccolte da Einaudi nel libro Un lupo in agguato) che sembrano degli Haiku giapponesi: nelle parole di due amanti, nel senso dell’assenza tra lo scorrere eterno delle stagioni. Le gocce di pioggia sul cruscotto della macchina negli gli scatti/acquerelli alle luci della strada e la lettura (in iraniano) del giornale da parte di Juliette Binoche sul lato del passeggero.

Nell’ultimo frammento di quattro minuti, il numero 16 dei 24 frames before and after lumiere siamo dentro una stanza, seduti per terra con “l’Ave Maria” di Schubert ad osservare la silhouette di un piccione fuori, sospeso tra il verde dell’erba è una tenda alzata a metà.
Kiarostami ferma in uno scatto il mondo che lo circonda e quando esclama “Guarda e gioisci” avvertiamo anche noi la luce che avvolge l’ albero in mezzo ai ruderi e che ha attirato la sua attenzione. Il suo vedere e’ oltre la “luce di Ashen”: non è la tenue luminosità del dark-side del pianeta Venere o la mera illusione di un effetto ottico ma il punto fermo che sa di eternità.
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