
Venezia73: I Called Him Morgan, vita e morte di un musicista jazz
September 2, 2016A distanza di dieci anni dal suo precedente My name is Albert Ayler (2006), Kasper Collin ha presentato alla 73ma Mostra del Cinema di Venezia il suo ultimo documentario intitolato I called him Morgan, che altro non è che un “gemello” del suo precedente lavoro. Ancora jazz e ancora una figura entrata nella leggenda non solo per il suo talento, ma anche per la sregolatezza. Lee Morgan è stato uno dei più amati trombettisti della storia, un musicista in grado di compiere una perfetta transizione all’interno del genere musicale, andando ad abbracciare tutte le sue contaminazioni e innovandolo costantemente.
Kasper Collin riesce con efficacia ad offrire un ritratto onesto dell’uomo e del genio, evitando di glorificarlo e basta, ma soffermandosi anche sui periodi più bui (l’abisso dell’eroina, assai comune tra i musicisti jazz dell’epoca, come nei casi di Charlie “Bird” Parker e Miles Davis), sulla lotta costante con i propri demoni e sulla sua tragica fine, una volta tanto non avvolta nel mistero a differenza di altri suoi colleghi.
Esattamente come dieci anni prima, il documentarista ha svolto approfondite ricerche sul musicista, portando alla luce immagini, filmati e registrazioni audio rimaste sepolte nel tempo. A differenza di My name is Albert Ayler, Collin ha avuto a disposizione questa volta un budget nettamente maggiore e ha quindi potuto produrre e dirigere un documentario tecnicamente ancor più valido, in grado di essere apprezzato anche da chi il jazz non lo conosce o chi non lo digerisce. Toccanti ed inedite le interviste a colossi come il sassofonista Wayne Shorter, che conobbe e suonò con Lee Morgan in più occasioni.
Numerose riviste internazionali hanno già giustamente riconosciuto il valore di I called him Morgan, aprendo così numerose porte al documentario (si spera) non solo all’interno del circuito dei festival. Il jazz, come genere musicale e come fenomeno socio-culturale, si merita una maggiore attenzione e diffusione e documentari come quelli di Kasper Collin sono esattamente ciò di cui c’è bisogno.
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