
Venezia73: The Net, la Corea e le Coree di Kim Ki-duk
September 2, 2016Nam Chul-woo (Ryoo Seung-bum) è un pescatore nord-coreano che conduce una vita economicamente modesta, circondato dall’amore della moglie devota e della timida figlioletta. In una classica giornata di lavoro sul fiume che separa Corea del Nord e Corea del Sud, il motore della sua barca collassa e supera il confine immaginario, finendo così in territorio “nemico”. Viene catturato, spogliato di ogni suo bene e diritto ed interrogato dalla polizia sud-coreana, accusando brutalmente le persecuzioni dell’ispettore a capo dell’indagine (Kim Young-min).
Scagionato per insufficienza di prove per incriminarlo come spia della nazione, Chul-woo viene rispedito in Nord Corea, dove ad attenderlo ci sono cerimonie di facciata ed ulteriori interrogatori.
Questa è la trama di The Net (그물, 2016), film dell’acclamato regista Kim Ki-duk, presentato nella nuovissima sezione Cinema nel Giardino alla 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Chi ben conosce il regista, sa che ogni suo film è inevitabilmente collegato all’altro, e ci tengo a precisare inevitabilmente perché Kim Ki-duk non sceglie mai di cosa parlare, semplicemente osserva ciò che ha davanti e lo traduce in un lingua comprensibile a tutti: il cinema.
La macchina da presa è il suo sguardo attento e curioso sul mondo, i suoi occhi parlano per il suo cuore. Non mente, mai. Non lo fa neanche quando v’è un dolore così accecante che difficilmente si riesce a sostenere. Ma Kim Ki-duk non vuole inventare favole, non ha minimamente intenzione di sfamarci di storie prive di spessore, senza alcun fondo di verità. Il suo cinema è il suo modo di comunicare col pubblico, la sua mente aperta è frutto di un gran cuore che si può cogliere ed ammirare in ogni suo lavoro, dalle opere minori ai suoi più eccelsi titoli.
The Net è la testimonianza di un dolore, di un disagio, di un conflitto che sfocia nella persecuzione intima e personale di un uomo che nulla può.
In Europa non giungono molte notizie riguardanti la tesa situazione in Corea e forse questo penalizza l’assimilazione del film, poiché l’ignoranza in merito impedisce l’instaurazione di un’empatia necessaria. Osserviamo i silenzi, le grida, le lacrime del protagonista Chul-woo, ingiustamente accusato di essere una spia nord-coreana, costretto con l’inganno a mentire e questo solamente per mettere un punto ad una “caccia alle streghe” che altro non fa che aumentare ancor di più il fuoco fra Nord e Sud. Perché è chiaro da questa pellicola quanto, pur continuando ad affermare il desiderio di una nazione unita, in realtà tutto ciò è solo un’utopia, una fantasia che non ha un briciolo di veridicità.
Soldi e violenza sono l’unico linguaggio comprensibile dai personaggi del cinema di Kim Ki-duk. Si noti come nei film più dialogati, più i personaggi si confrontano, meno si capiscono. Più parlano, meno s’ascoltano. Solo un gesto estremo quale può essere una tortura fisica permette loro di interagire. E questo sottolinea la profonda tristezza che alberga nei cuori delle persone. Persone totalmente devote al materialismo, al consumismo, all’impegnarsi a tutti i costi a costruire un’immagine di se che non è quella reale. Questi personaggi si lasciano corrompere con poco, non hanno affetti, non hanno aspirazioni, solamente miseria nei loro cuori.
Kim Ki-duk ci ha da sempre abituato a film in cui la parola era quasi del tutto assente, ma da Pieta (Leone d’Oro alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia) qualcosa è cambiato. La parola è presente, eccome se lo è, ma questo non significa che abbia valore assoluto, anzi. Proprio nei momenti di silenzio, i personaggi esprimono al meglio il loro potenziale ed il loro “essere umani”. Perché niente è più assordante di un silenzio quando questo è carico di dolore. E cosa può valere la parola quando nessuno attorno a te sa comprenderla?
È per questo che The Net è forse uno dei film di Kim Ki-duk che evidenzia maggiormente il sentimento di solitudine dell’uomo. Un uomo nord-coreano che non ha mai conosciuto la ricchezza, catapultato nell’universo capitalista e consumista della Corea del Sud, fra innovazione e ricerca. Una Corea libera, ma non per questo felice. Il regista s’interroga appunto sul senso della libertà. I soldi rendono liberi? L’agiatezza economica procura felicità? La risposta è, ovviamente, no.
Kim Ki-duk suggerisce un valore concreto quale l’amore di una famiglia come via per un’autentica felicità. Dunque mette davanti la persona al bene materiale, i legami alla superbia. In fondo anche se povero, Chul-woo non ha mai avanzato lamentele. Gli bastava semplicemente esistere ed esistere con qualcuno vicino che lo ama e che lui ama. Sembra poco? Non lo è affatto. È così raro imbattersi in qualcuno capace di provare un sincero affetto per te, che quando accade non bisogna assolutamente rinunciarci. E non importa se fisicamente non si è vicini, il legame supera le distanze. Questo tema è stato affrontato approfonditamente anche in passato in Ferro 3 – La Casa Vuota e La Samaritana, due pellicole che hanno dimostrato e consolidato il pensiero del regista che nulla può sovrastare il potere di un legame umano.
In The Net, ogni qual volta Chul-woo si trova in dubbio, tentato dalla curiosità di iniziare una nuova vita, ripensa alla sua casa, al suo modesto lavoro, alla sua famiglia e non può far altro che desiderare di tornare indietro, perché la famiglia è tutto ciò che ha e mantenerla è la sua unica preoccupazione. È anche per codesta ragione che il suo destino è segnato, pur avendo davanti una scelta. Ma decide di non opporsi, di andare avanti dritto, di lasciarsi trasportare dalla corrente del fiume chiamato vita senza alcuna resistenza.
L’immagine finale di Chul-woo rimanda al senso di assoluta perdizione ed impossibilità di salvezza di moltissimi altri epiloghi presenti nel suo cinema.
Il mare è un elemento onnipresente. Un mare che sottolinea la difficoltà di avvicinarsi (come in Time), un mare che fa perdere le tracce di se (come in Bad Guy), un mare che tiene a distanza le persone (come in L’isola). Insomma Kim Ki-duk spesso e volentieri ci mette davanti all’accecante realtà di quanto sia faticoso vivere nel mondo. La semplicità è forse l’unica chiave per il proprio benessere.
A differenza di altri film, The Net non mostra la violenza fisica, la censura anzi. Questo sottolinea che non è il suo sangue che fuoriesce da una ferita a provocare dolore. La violenza vera in questo film è l’oppressione provata dal protagonista, le conseguenze di una dittatura che subisce inevitabilmente, la sua presa di posizione dettata da un indottrinamento al quale non si è potuto sottrarre.
Il titolo The Net rappresenta non solo la rete che provoca il malfunzionamento della barca di Chul-woo, ma anche la trappola nella quale lui stesso precipita, catturato da due fazioni che non gli danno respiro. Annaspa, sospira, muore dentro lentamente, molto lentamente.
Si parla di due Coree, ma come ha precisato in conferenza stampa il giovane attore Lee Won-geun, protagonista del film in un ruolo minore, “Io sono coreano” e questa non è una frase da poco. Le radici vanno ricordate ed onorate ed un confine non dovrebbe mai costringere un popolo a schierarsi, a provare repulsione verso i suoi stessi compagni.
Sempre lo stesso attore ha parlato di come si percepisca comunque un affetto verso le persone della Nord Corea, perché alla fine la sua patria è formata da famiglie, famiglie invisibili, famiglie sconosciute, ma pur sempre coreane.
Mentre confessa tutto ciò, Lee Won-geun cela una profonda tristezza nel suo sguardo. Per quanto possano il regista ed ogni coreano presente in sala pensarla come lui, la realtà è ben differente.
Kim Ki-duk con questa pellicola vuole mettere in scena una soluzione saggia in cui le due Coree risolvono da sole i conflitti interni, ma un solo film non può cambiare il presente. Forse, pur essendo in superficie un altro film ricco di pessimismo e malinconia, in realtà c’è un fievole barlume di speranza, ma svanisce ben presto quando veniamo colpiti dall’agghiacciante finale.
Siamo ciò che siamo, siamo ciò che siamo destinati ad essere e di certo non la scriviamo noi la nostra storia. È davvero così? Siamo dei pesci aggrovigliati in una rete di impossibilità e cecità di sentimenti? L’unica via di fuga è vedere il mondo con occhi diversi, guardandosi attorno, consumando ogni piacere finché ce ne sono, apprezzando la sincerità degli affetti che riceviamo e dando ancor più valore a quelli che offriamo. Kim Ki-duk, un cuore immenso come il mare.
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