Venezia73: Frantz, il ritratto dell’assenza

Venezia73: Frantz, il ritratto dell’assenza

September 4, 2016 0 By Mariangela Martelli
locandinafrantzGermania, 1918. Post prima guerra mondiale in bianco e nero per la nuova pellicola di François Ozon presentata alla 73esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia: Frantz. Il titolo che dà voce all’assenza, al nome di un giovane tedesco caduto sul fronte francese si sviluppa sulla pièce teatrale di Maurice Rostand,  già ripresa nel ’32 da Ernst Lubitsch.
Frantz si apre con la routine della giovane donna tedesca Anna (Paula Beer) che avrebbe dovuto sposarlo e che invece è rimasta a prendersi cura dei genitori di lui. La seguiamo tra le lapidi del cimitero del paese mentre annaffia i  fiori sulla tomba vuota  dell’ amato. Il suo stato di solitudine crepuscolare  verrà interrotto dalla visita del giovane francese Adrien (Pierre Niney) tormentato dalla ferita  che porta nell’anima dalla fine della guerra: quella di aver perduto l’amico Frantz.
Il racconto della loro amicizia franco-tedesca (che ricorda quella di Jules et Jim di François Truffaut) sembra riempire il vuoto lasciato regalando un attimo di gioia fatto di ricordi: ai genitori di Frantz che rivedono il proprio figlio nell’amico francese e ad Anne che sembra “sopravvivere” a una tregua fatta di sogni  inventati per proteggersi dalla verità. Ma è il colore che diventa un tramite tra realtà e finzione a dare respiro alle scene in cui i sentimenti dei protagonisti riescono ad esprimersi in modo completo e consapevole, sovrapponendosi alle immagini del paesaggio e dell’immaginazione.
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Nel film di Ozon ci sono costanti riferimenti al mondo dell’arte (al Louvre, a Monet) e alla poesia (Verlaine, Rilke), la splendida fotografia in bianco e nero e’ amplificata dalla musica classica di Philippe Rombi. Anne e Adrien  riescono ad oltrepassare i confini mantenuti dall’ipocrisia delle persone, riuscendo a comprendersi e a spezzate  i limiti  imposti dal periodo storico in cui vivono. E lo fanno attraverso un linguaggio condiviso, non solo nella  lingua “straniera”  (lei parla  il francese insegnatole da Frantz) ma anche nella  musica (lei suona il pianoforte, lui il violino come Frantz).
Lo spettatore andando avanti nelle vicende si domanda se “la messa in scena” dei protagonisti sia una possibile celebrazione dell’arte della finzione nel cinema, in bilico tra menzogne dette per non diffondere  altro dolore in una  verità non sempre facile da accettare. Nel riflesso di un paese distrutto dalla guerra che vediamo scorrere sul vetro del treno in cui viaggia Anna avveriamo l’estraniazione della donna nei confronti del conflitto che non l’ha vista protagonista in prima linea e al tempo stesso il suo sentirsi partecipe alla memoria collettiva attraverso la rielaborazione della perdita.
Les sanglots longs
Des violons
De l’automne
Blessent mon coeur
D’une langueur
Monotone.
Tout suffocant
Et blême, quand
Sonne l’heure,
Je me souviens
Des jours anciens
Et je pleure
Et je m’en vais
Au vent mauvais
Qui m’emporte
Deçà, delà,
Pareil à la
Feuille morte.
Verlaine, Chanson d’automne
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Mariangela Martelli