
Venezia73: Jackie, sopravvivere ad ogni costo
September 13, 2016Jackie è un piccolo Leone d’Oro, o almeno è una considerevole speranza.
Pablo Larrain al suo primo film in lingua inglese, rinuncia al classico biopic all’americana. Jackie, Jacqueline Kennedy, interpretata con ottime sfumature non eccelse, ma necessarie, da Natalie Portman, è lì, sempre davanti la cinepresa del regista. Come da titolo è lei l’oggetto feticistico della camera, la vediamo in macchina tenere il corpo senza vita di Kennedy, aggirarsi nella vuota Casa Bianca, lavarsi il vestito e il viso del sangue del marito. Piangere, rimanere sul filo della disperazione.
Solo il giorno prima, il problema di Jacqueline era quello di decidere il colore delle tende. Ora invece si trova a dover rassicurare i suoi due figli, organizzare il funerale del marito e rendergli la giusta immagine.
Questi i punti centrali del film, raccontati con una raffinatezza unica. Il potere serpeggia tra i Kennedy e altri acquisiti (tra questi, appunto, anche Jackie). Larrain riflette sul valore del tempo per cui oggi Kennedy è una delle figure più apprezzate dal popolo americano. Forse la sua morte è stata strumentalizzata, forse le teorie complottistiche sono sempre sulla bocca di tutti e quindi di facile divulgazione ma tant’è, Kennedy forse poteva fare di più. Quindi il potere citato prima torna prepotentemente, si aggira attorno la figura assente, tranne qualche flashback, di Kennedy, il resto che vediamo è Bob, è Jackie, il prodotto di quel potere, la frustrazione di non aver potuto fare di più, il rimpianto di due anni fantastici, vissuti a pieni polmoni – questo il messaggio finale di Jackie con tanto di parabola di Camelot – e il seguito che ha lasciato.
Larrain sembra non aver paura di parlare dell’uccisione di Kennedy, d’altronde il soggetto di questo film non è lui, ma quei quattro giorni che si susseguono tra l’omicidio e il funerale. Jackie sarà la rappresentazione del dolore, un dolore che portano in grembo tutte le donne come il dolore di tutti gli americani che si sono sentito smarriti da un evento che ha segnato per sempre la storia degli Stati Uniti. In quel vestito nero accanto la bara del marito, Jackie improvvisamente si fa luce, si trasforma mamma universale a dare una carezza a tutto e a tutti.
(Gabriele Barducci)
In Jackie il tocco di Aronosfky (qui produttore, non in veste di regista) è lampante in ogni singola scena, ogni inquadratura, nonostante il film sia magnificamente diretto, con eleganza e raffinatezza, da Larrain. Andando contro al concetto classico di biopic, Jackie analizza chirurgicamente quelli che son stati i giorni vissuti dalla vedova Kennedy dopo la brutale uccisione del marito durante una visita a Dallas (campagna elettorale dietro l’angolo e necessità di mostrarsi a quante più persone possibile). Se così facendo non c’è spazio narrativo per illustrare il percorso di vita di Jacqueline Kennedy, l’assoluta potenza delle immagini è già di per sé sufficiente per donarci un ritratto completo di una donna con una forza immensa, in grado di metabolizzare e trovare un ordine mentale per sopravvivere ad un evento così devastante. Quello che forse i libri di storia e le centinaia di biografie sul caso non sono state in grado di affrontare acriticamente e oggettivamente, preferendo concentrare le proprie attenzioni su complotti e scenari politici fragilissimi, è stato illustrato con dovizia di particolari in Jackie. Sia chiaro, nessuno saprà mai tutta la verità su quei giorni, quelle interminabili ore, e probabilmente non tutto quel che è stato detto è corrispondente al vero (sempre che possa esistere una versione autentica nella sua totalità), ma se non altro Jackie si muove -cinematograficamente parlando- in una direzione completamente nuova, spogliata di tutto se non dell’essenza delle sensazioni e dell’umana sfida e fatica nell’affrontare situazioni problematiche, rimanendo in piedi, come Jackie, impersonata da una perfetta Natalie Portman. (Simone Tarditi)
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