
Venezia73: À Jamais, gli spettri della lontananza
September 15, 2016Tra la riduzione cinematografica di Cosmopolis e quella di The Body Artist c’è un abisso consapevole e la natura dei rispettivi film (il primo è una dimagrata, ma solida trasposizione del romanzo, il secondo è un’interessante visione rispetto al testo da cui è stato intrapreso un percorso alternativo) conferma tuttavia quanto l’essenza volutamente incorporea, immateriale, spirituale dei personaggi e delle situazioni delilliane si rifacciano al Nulla e al Nulla facciano ritorno.
L’enigma degli specchi che si riflettono l’uno nell’altro, ma che restituiscono un’immagine bifronte, diversa a seconda del lato da cui la si osserva, conduce i protagonisti di À Jamais in un territorio di complicità iniziale, di mortificazione dei sentimenti sempre più flebili e infine verso uno smarrimento reciproco in compagnia dei soli fantasmi di chi si era e di chi si credeva di essere, cullati dall’inquietudine rarefatta nel sollievo del non essere più.
Applicando lo stile di Don DeLillo, solenne e prosciugato di tutto se non del significato e della verità ultima delle cose, in À Jamais si assiste a quello che in pittura s’identifica come processo di asciugatura dei colori sulla tela: al furore si sostituisce la stasi, alla stasi subentra la morte, la morte viene iniettata di vita corrotta, la vita cessa di essere tale e finisce col diventare qualcosa d’altro. “I saw a Rohmer film once. It was kind of like watching paint dry”, dice Harry Moseby (Gene Hackman) in Night Moves (Arthur Penn, 1975), cercando di dare un ordine e un significato al caos della sua vita in quel momento.
Lo spazio svuotato di tutto ciò che prima lo riempiva (il movimento di corpi solitari, ma non singoli) rifugge la luce che filtra dalle finestre, consuma l’ossigeno ammassato negli angoli delle stanze, conferisce una forma e un valore alla polvere del tempo, decreta la fine di chi ha abitato quei luoghi. Quello affrontato in questa trasposizione è un rischio, ma è anche una scommessa vinta perché non esiste un piano ideale su cui film e romanzo si posino sullo stessa rispettosa distanza, pertanto, fuori dalla mente dei puristi ciechi che tutto vorrebbero tranne ciò che hanno e collocato in una dimensione reale, À Jamais ci ricorda di quanto sia importante sapere staccarsi da un corpo per non farvi ritorno mai più perché così dev’essere e così sia.
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