
Crisis in Six Scenes e la rivoluzione in pantofole di Woody Allen
October 7, 2016Corteggiato anche da grandi emittenti televisive sul fare una serie tv, Woody Allen ha deciso alla fine di collaborare con Amazon per due motivi principali: l’insistenza e la libertà. Pare infatti che il colosso americano non abbia dato molto peso alle iniziali ritrosie e ai secchi rifiuti del quattro volte premio Oscar e che abbia continuato a insistere finendo col dargli completa carta bianca su tutto. Quest’ultima garanzia è stata fondamentale per farlo accettare.
Ovviamente riponendo fiducia e confidando nel suo buon senso, Amazon ha concesso a Woody una libertà pressoché totale su che storia narrare, in che epoca ambientarla, su che genere utilizzare, quale cast scegliere e così via. Impossibile non cedere ad una tentazione così grande. Tuttavia, a esperienza conclusa, Woody ha giurato e spergiurato che mai e poi mai tornerà a fare serie tv, un’esperienza che non ha esitato a definire “stressante”, sottolineando quanto sia stata per lui più complessa della realizzazione di un film. Durante la sua tappa a Cannes per presentare il suo delizioso Café Society, Woody ha avuto modo di parlare sulla serie tv sui cui stava lavorando: “Ho fatto un errore catastrofico. Non avrei mai dovuto finirci dentro. Pensavo sarebbe stato facile: insomma, fai un film ed è un impegno molto grande e quindi pensi che fare una serie in sei episodi sia una quisquilia. Ma non è così, è veramente difficile”. Partendo dal presupposto che lui stesso ha spesso messo in scena personaggi in preda al cosiddetto “blocco dello scrittore” come nel caso di Midnight in Paris o Harry a Pezzi, esternazioni di questo tipo hanno fatto sorridere noi come i capoccia di Amazon.
Ridi e scherza, Woody Allen non ha preso i soldi ed è scappato, ma nell’estate ha diretto la sua serie, di cui qualche giorno fa sono uscite tutte e sei le puntate, con l’emblematico titolo di Crisis in six scenes. Ora, sarebbe crudele entrare nel dettaglio di ogni singolo episodio perché rovinerebbe agli affezionati di Allen una sorpresa quanto mai deliziosa. Sul finire degli anni ’60 Sidney J. Munsinger (Woody Allen) lavora nel mondo della pubblicità, sta scrivendo una bizzarra serie tv e vive una tranquillissima vita con la moglie psicologa Kay (Elaine May). La loro così ordinaria e ordinata esistenza viene trascinata nel caos euforico di Lennie (Miley Cyrus), rivoluzionaria in fuga verso Cuba.
Costruendo le fondamenta della sua narrazione con gli elementi comici che ne hanno da sempre decretato il successo, Woody Allen torna a riproporre se stesso come attore in ruolo fortemente autobiografico e lo fa affiancandosi dalla leggendaria Elaine May, autrice, sceneggiatrice nonché attuale compagna di Stanley Donen tra le altre cose, la quale aveva recitato per Allen anche in Criminali da strapazzo. I due formano una coppia irresistibile e anche l’icona per teenager ai tempi di Hannah Montana e ora argomento di scandalo per i più disparati e insignificanti motivi regge perfettamente il gioco. Insomma, Crisis in six scenes è ciò che ogni alleniano vorrebbe vedere.
Nonostante le preoccupazioni mostrate a Cannes, il Nostro è riuscito a mettere insieme ancora un’opera cinica, dissacrante, pungente e adorabile. Lontano dall’essere uno dei suoi migliori lavori, Crisis in six scenes conferma la statura artistica di una persona che nei suoi lavori ha sempre coerentemente mostrato quanto incoerenti siano gli essere umani. Woody non ha praticamente più lavorato per e con la Televisione dagli anni ’60, ma i suoi tempi comici sono rimasti quelli, nel bene e nel male. L’incapacità di apprezzare un’opera spesso riguarda esclusivamente chi la sta guardando, non ha tanto a che fare con il suo valore in senso stretto. C’è chi si è lamentato di questa serie perché non ha rivoluzionato un bel niente nel mondo televisivo, ma volete mettere il fascino di un’immobile rivoluzione in pantofole mentre è Amazon a sganciare i big money? Impagabile.
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