
RomaFF11: Abbas Kiarostami, il regista che vedeva il mondo con gli occhi di bambino
October 20, 2016Il 04 Luglio scorso ci ha lasciato il regista iraniano Abbas Kiarostami che in questa nuova edizione della Festa del Cinema di Roma viene ricordato attraverso un omaggio a cui è dedicata un’apposita retrospettiva all’interno della Sezione Alice nella Città, dal titolo “I Bambini ci (Ri)Guardano”. Già alla 73ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia abbiamo avuto modo di ricordarlo durante la proiezione degli ultimi due cortometraggi realizzati, 24 Frames (1 Frames Only) e Take Me Home, seguito dal documentario del collaboratore e amico Samadian Seifollah, 76 Minutes and 15 Seconds with Kiarostami (che potete recuperare nell’articolo “Venezia ’73: Omaggio ad Abbas Kiarostami” e “Due sguardi di Abbas Kiarostami“).
A tre mesi della sua triste scomparsa Alice nella Città in collaborazione con The Institute for the Intellectual Development of Children & Young Adults (Kanoon), la Dreamlab Film ed il Museo del Cinema di Torino ci introducono alla visione del mondo dell’infanzia attraverso i bambini di Kiarostami che ha fatto del cinema del proprio cinema una chiave di lettura della sua filmografia, attraverso 16 lavori che vanno dall’esordio nel 1970 fino alle opere degli anni ’90.
Vogliamo focalizzarci qui, in particolar modo su Bread and Ally – Pane e Vino (1970), primo cortometraggio della propria esperienza cinematografica; in 10 minuti mette in scena una piccola situazione quotidiana, un bambino di rientro a casa dopo aver acquistato del pane e si imbatte in un feroce cane affamato che gli ringhia aggressivamente contro. Realizzato in pelliccia in formato 4:3, in bianco e nero, assume due colorazioni differenti al fine di comunicare due aspetti distinti della vicenda: le sequenze con viraggio in giallo riproduce lo sguardo della macchina da presa rispetto alla situazione messa in scena mentre un viraggio rosato riflettere lo sguardo del bambino attraverso una soggettiva.
Segue poi il lungometraggio di 87 minuti del 1987, Where is My Friend’s Home? – Dov’è la Casa del Mio Amico?; protagonista è il piccolo Ahmad che sbadatamente ha preso il quaderno dei compiti del proprio amico e compagno di banco e per evitargli l’espulsione cercherà in tutti i modi possibili di restituire. In questa missione Ahamad si butterà in una corsa a perdifiato attraverso le colline iraniane e piccoli borghi di città; farà numerosi incontri con persone più o meno disponibili, intessendo semplici dialoghi fatti di monotoni e ripetitive domande e risposte, il tutto risulta, a tratti, piacevolmente comico e ironico.
Emerge in maniera incisiva il pressante divario generazionale presente all’interno della società iraniana della seconda metà dell‘900, da cui emerge una rigida e forte disciplina, una severa educazione ed una rispettosa condotta per il timore nei confronti degli adulti.
Le trame narrative dei film di Kiarostami sono minimali e non articolate, ciò che conta non è la vicenda o l’intreccio ma il modo con cui descrivere e rappresenta gli ambienti e la semplicità dei personaggi proposti; il tutto in una forma tecnica che rispecchia la semplicità della struttura.
La sua grande abilità risiede nel narrare il trascorrere del tempo attraverso escamotage registici come i carrelli a seguire che dall’alto verso il basso accompagnano i piccoli protagonisti e al gran numero di inquadrature con macchina da prese statica che segue il compiersi delle azioni in tutta la sua durata, volendo simulare la verosimiglianza dell’azione reale. Ne è un esempio i numerosi scorci dei borghi rocciosi e deserti, nei quali vediamo entrare in campo il protagonista e attraversare interamente l’intero spazio del frame per poi uscirne nuovamente e così in successione, sequenza dopo sequenza, prendono vita i corti e i film di Kiarostami; attraverso questi tratti è possibile scorgere quanto del cinema Neorealista italiano emerga dai suoi lavori. Un’immersione totale alla scoperta continua della città dove aleggia una sconfinata solitudine resa attraverso la mancanza, quasi totale, di musica extradiegetica, in modo da privilegiare la sonorità dell’ambiente circostante.
Il regista attraverso il tempo crea una costante ripetizione di azioni che si sviluppano in un loro eterno ritorno dove ambienti, situazioni e personaggi sono ciclicamente rinnovati; dove le forze della natura: il passaggio dalla notte al giorno, lo scorrere delle stagioni e degli anni si manifestano attraverso la reiterazione compulsiva dei medesimi atti.
Kiarostami è il regista dell’incomunicabilità, dell’isolamento e dell’incapacità di manifestare sentimenti tramite i propri personaggi vuoti, con un’espressività fredda e distaccata che li accompagna in una quotidianità statica, congelata in un perpetuo presente.
Ecco cosa piace della sua poetica tanto da diventando il suo manifesto artistico, la voce di un popolo silenzioso.
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