
TFF34: Violenza ed esistenze parallele in Elle
November 19, 2016Paul Verhoeven torna, dopo quasi dieci anni lontano dalla macchina da presa, con un film che ha suscitato controversie fin dalla sua première a Cannes lo scorso maggio. Michèle Leblanc (Isabelle Huppert) è una businesswoman a capo di una società che si occupa della programmazione di videogiochi, ma il successo è stato arduo da raggiungere perché la sua vita è stata macchiata da una serie di omicidi compiuti dal padre quando lei era ancora una bambina. L’odio che alcuni cittadini parigini provano nei confronti dell’assassino (in carcere) viene riversato su di lei, colpevole solo di essere sua figlia. Un giorno, tra le sue accoglienti sue mura domestiche, viene violentata da un uomo in passamontagna che, dopo quell’episodio orribile, non smette di perseguitarla. Inizia quindi per Michèle un sottocapitolo nella sua esistenza volto a cercare delle risposte sull’identità dell’uomo, sui motivi di quello stupro, ma soprattutto sulla decifrazione emotiva delle sensazioni provate.
Etichettato dalla stampa internazionale come revenge-movie, che tale non è, Elle nasconde, sotto un tessuto narrativo standard, una notevole complessità psicologica dei personaggi (non solo della protagonista). Non ci sono risposte uniche, non ci sono risposte definitive. Tutto il film sembra ribollire di pulsazioni erotiche, nevrosi urbane, scissioni della personalità, glaciali reazioni a eventi terrificanti. Michèle sembra incarnare in sé non solo aspetti di una società privata di comportamenti ancora definibili come umani, ma anche l’indissolubile lotta tra chi si è nel mondo e chi si è nella vita interiore. Certo, in Elle è chiarificato il perché degli algidi atteggiamenti e delle reazioni in-umane (senza accezione negativa) della protagonista, rimandando gran parte delle spiegazioni a quel devastante trauma subito in età infantile legato alla figura paterna, tuttavia l’insieme di bizzarri e peculiari episodi che si susseguono nel film e che coinvolgono anche il suo gatto pare fungere da specchio di un mondo che vive un’esistenza fatta di segreti e profondamente votata all’egoismo nella sua forma più pura: l’impossibilità dello svelamento della propria anima agli altri.
Trattata tutt’altro che marginalmente, la metafora videoludica della spersonalizzazione viene efficacemente illustrata in Elle, ancora una volta, come contraltare della vita realmente vissuta. Con modalità simili a chi s’immedesima nel character impersonato in un videogame, i protagonisti del film -che per varietà riassumono gran parte delle tipologie umane incontrabili tutti i giorni- conducono in parallelo esistenze virtuali (nell’accezione da dizionario di qualcosa che “non è o non è stato ancora posto in atto”, una categoria a cui non appartiene lo stupratore) e vite radicalmente legate all’esistere degli altri. Elle non è sicuramente uno dei più bei film di questo 2016, ma allo stesso tempo è imperdibile ed è una visione necessaria.
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