
Silence, la tentazione silenziosa di Scorsese
January 11, 2017Ieri sera abbiamo approfittato della proiezione stampa di Arrival per rivederci il nuovo film di Denis Villeneuve in arrivo tra poco nelle sale e che noi abbiamo già visto a Venezia e nell’attesa abbiamo potuto ascoltare qualche feedback di chi come noi, era all’anteprima di Silence la sera precedente. Il risultato di questa acuta azione di ascolto è stata che Scorsese gli è bevuto il cervello, il film è lento e noioso – simpatico e molto professionale detto da giornalisti over 50 dei più famosi quotidiani italiani – e per finire, che è il peggior film di Scorsese.
La missione, perché oltre ad essere un contenitore di opinioni Vero Cinema è nato con una missione ben precisa, si manifesta nel momento in cui alcune affermazioni vengono a galla.
Gran parte del giornalismo cinematografico si basa su un cinema che, per fortuna o purtroppo, oggi non c’è più e motivo per cui ci si rifiuta di comprendere il valore di determinate pellicole. Non siamo nuovi a queste situazioni; senza entrare nel dettaglio vogliamo solo ricordare il simpatico teatrino che ha avuto luogo appena un anno fa con l’uscita di The Hateful Eight, dove una pioggia di critiche negative – sterili a nostro avviso – ha invaso l’ultima opera di Tarantino.
Ma lungi da questi discorsi, prendiamo l’articolo in oggetto per le corna e affrontiamolo:
Silence, il nuovo film di Martin Scorsese è un capolavoro di rarissima fattura.
Troppo lungo? Sì ma non credo sia un difetto.
Finale troppo buonista? Forse ma è davvero questo il problema? Gli ultimi cinque secondi a confronto di 2 ore e 40 minuti di film?
Gli attori non recitano poi tanto bene? Non recitare bene NON vuol dire che recitano male, semplicemente è una recitazione base. Poi insomma, parliamo di Andrew Garfield, Adam Driver (il migliore) e Liam Neeson. Non sono certo attori appena usciti dall’accademia di recitazione.
Come ben sappiamo, Scorsese rincorreva questo progetto da più di dieci anni: leggeva la sceneggiatura scritta, poi la posava sul tavolo per poi passare nel cassetto, poi riprendeva in mano l’omonimo romanzo, lo rileggeva, riprendeva la sceneggiatura, apportava modifiche, insomma il classico iter da ossessione verso qualcosa che si vuole, ma che non si riesce a completare, tutto questo per un unico e solo motivo, osiamo a credere: la complessità del tema trattato.
La posizione ambigua con un piede dentro e l’altro fuori di Scorsese verso la religione è cosa nota e da questo film si evince come la stessa sceneggiatura soffre di senilità: ci sono domande, sfumature che vengono imposte con criterio, ma il Silenzio del titolo permea l’intera opera, le risposte non arrivano. Forse non arriveranno mai. L’essere umano credente e praticante la dottrina cristiana si aggrappa a dei segni, alcuni le chiamano apparizioni.
Il lavoro narrativo per portare alla razionalizzazione di questo silenzio parte dalle basi: perché Dio permette tanta brutalità nel mondo? La trama come sappiamo vede i due protagonisti, preti, Adam Driver e Andrew Garfield, arrivare in Giappone con la missione di ritrovare il loro mentore Liam Neeson. Il problema è che l’Inquisitore del Giappone condanna a torture e morte chiunque pratichi una religione al di fuori del Buddismo. Vivremo storia e prigionia da parte di Andrew Garfield e affronteremo le sue stesse domande già proposte sopra: perché Dio permette questo, che suoi fedeli vengano uccisi e torturati così facilmente? Non c’è quasi mai un accenno di colonna sonora; lo stesso film inizia con il rumore del vento tra gli alberi e le onde che sbattono sugli scogli, tutto su schermo nero. Poi di colpo si quieta tutto e appare il titolo.
Il silenzio del titolo, oltre ad essere la risposta di Dio a tutte le richieste e preghiere dei giapponesi cristiani torturati e uccisi, è anche la più grande manifestazione divina che ha sempre reso vivi i tabù attorno la fede cristiana.
Da The Young Pope abbiamo appreso che “l’assenza è presenza”, Martin Scorsese che cerca di capirne lui stesso il mistero lo sa e crea qualcosa che mai prima d’ora era successo in altri film di stampo religioso: Scorsese con il cinema riesce a dare forma al divino.
Nei momenti più duri e ce ne saranno di quelli che sentiremo direttamente sullo stomaco, in preda alla disperazione all’ipotesi che forse un Dio ad ascoltare in realtà non vi è, riusciamo quasi a percepire qualcosa, percepiamo quel divino che in molti invocano senza ottenere risposta.
La stessa figura dell’Inquisitore giapponese è particolare: egli non è il nemico come qualcuno si ostina a dire o pensare. Nessuno ha piacere nel far morire i suoi cittadini, ma la sua è soltanto una sfida per dimostrare ai preti catturati che nonostante tutte le loro preghiere, niente e nessuno salverà quelle persone dalla morte. Soltanto abiurare la propria fede garantirà la salvezza del popolo.
Eppure il nostro protagonista vivrà questa sfida come un segno divino. Lui non deve e non può rinnegare la sua religione, anche se la continua morte di fedeli porterà allo stremo il copro, la mente e la fede stessa del prete.
Si potrebbe fare un discorso su cosa sia la fede, se può essere qualcosa che si perde bestemmiando o sputando su tutta l’iconografia cristiana, ma lasciamo questi discorsi in quanto la fede, credenti o no, è un concetto talmente complesso che neanche la forza interpretativa ed espressiva del cinema potranno mai rendere giustizia.
L’inquisitore dunque ha un ruolo fondamentale e particolare. Lui ha a cuore il bene del proprio paese. Capisce la potenza di una religione come il cristianesimo e la teme, perché il suo proliferare porterebbe ad una spaccatura religiosa del paese. La stessa storia ce lo insegna, l’Imperatore Costantino in prossimità della morte e per evitare le sempre più numerose rivolte civili a Roma, riunì tutto l’Impero sotto la bandiera del Cristianesimo, comprendendo l’importanza della nuova religione, così da rafforzare l’Impero sotto gli aspetti culturali e politici.
Ma perdersi in altre parole è inutile perché parliamo di Martin Scorsese, parliamo di Vero Cinema, parliamo di ogni singolo frame studiato nel minimo dettaglio, qualcosa di perfetto, allegando il tutto ai costumi e le scenografie impeccabili del nostro Dante Ferretti.
Silence si insinua così nelle vene e negli occhi degli spettatori, ci porta in quei giorni di prigionia vivendo gli stessi drammi esistenziali e fisici dei cristiani in fuga e costretti a volo volta, al silenzio per scappare alla morte.
Il cinema e i personaggi di Scorsese sono chiusi in quel limbo del Purgatorio: fisicamente vivono l’Inferno ma hanno una forza d’animo così forte e divina che li vedi sporgersi verso il Paradiso.
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