Silence, venga il regno di Scorsese e sia fatta la sua volontà

Silence, venga il regno di Scorsese e sia fatta la sua volontà

January 17, 2017 0 By Simone Tarditi

Silence di Martin Scorsese non è una celebrazione di Dio, ma dell’uomo, e allo stesso tempo è l’opera più depistante di tutta la filmografia del regista, pur nel suo rigore assoluto nella forma e nella composizione delle immagini. Forse ha ragione Irwin Winkler, mogul hollywoodiano e finanziatore del film, a definirlo il film più bello che finora Scorsese abbia fatto. Sforzo, costanza, precisa forza di volontà hanno reso possibile la realizzazione di Silence, facendolo uscire da una palude produttiva che ne ha ritardato le riprese per anni, e ora che il film può finalmente scorrere di fronte ai nostri occhi, con sé porta alla luce, nella maniera più accecante possibile, tutti quegli elementi che non solo possono essere rintracciati da sempre nella filmografia di Scorsese, ma che costituiscono prima di tutto ciò che noi esseri umani siamo: imperfette e fragili creature in lotta con Dio e in cerca di risposte.

INTROITUS

Di Silence, il romanzo scritto da Shusaku Endo da cui Martin Scorsese ha tratto il suo film, esiste già una riduzione per il grande schermo e una versione operistica. Distribuito dalla Toho, casa di produzione cinematografica giapponese famosa soprattutto per tutta la serie di film su Godzilla, il Silence diretto da Masahiro Shinoda non piacque per niente al romanziere, il quale -nonostante sia accreditato come sceneggiatore del film- non ebbe nessuna voce in capitolo sull’ultima stesura della sceneggiatura e litigò col regista che stravolse il finale del suo testo. Edito nel 1966, il libro fu oggetto di attacchi da parte della schiera di cattolici in Giappone e qualche anno più tardi, nel 1971, fu lo stesso Endo ad attaccare il film che portava quel nome e che poco aveva a che spartire con le pagine che lui aveva scritto.

Che Shusaku Endo fosse ancora dispiaciuto per il trattamento riservato al suo romanzo più famoso o che avesse semplicemente voluto far sì che una nuova generazione, più di vent’anni dopo, potesse entrare in contatto con la storia da lui narrata, decise di portare in scena un adattamento operistico di Silence da lui stesso curato insieme al compositore Teizo Matsumura: una rappresentazione in due atti avvenuta presso il Nissay Theater di Tokyo nel novembre del 1993, filmata e trasmessa dalla NHK, il corrispettivo giapponese della nostra RAI. Pare che Matsumura ed Endo abbiano lavorato per oltre tredici anni all’opera e d’allora è spesso stata riportata in scena, ottenendo sempre un grande successo.

In quegli stessi anni, per la precisione nel 1988, il reverendo Paul Moore, ai tempi vescovo dell’Arcidiocesi di New York, diede una copia del romanzo di Shusaku Endo a Martin Scorsese, che iniziò a sviluppare un’ossessione per quella storia che da quel momento l’avrebbe accompagnato per tutta la vita. Senza entrare nei dettagli della causa legale intentata dalla Cecchi Gori Group ai danni del regista per non aver rispettato il contratto di realizzare una nuova versione del film sotto quella casa di produzione o senza addentrarsi nella ridda di attori che si sono succeduti nel corso dei decenni nel cast, da Daniel Day-Lewis a Ken Watanabe, basti solo sapere che Scorsese c’ha messo una vita a realizzare Silence.

Shusaku Endo, nel frattempo, è morto nel 1996. Silence di Martin Scorsese, uscito esattamente vent’anni dopo, con una lavorazione lunga quasi quanto quella della versione operistica curata dal romanziere e da Matsumura, non solo può essere considerato finalmente un adattamento fedele del romanzo di Endo, ma ha ridato voce ad una dolorosa, spirituale e formativa esperienza umana che non deve e non può essere categorizzata all’interno della semplice parabola religiosa. Silence è un percorso di perdita e di rinnovamento, d’illusione e di svelamento, di scoperta e di accettazione le cui ramificazioni, tanto in Endo quanto in Scorsese, sono così profonde da rendere possibile e chiaro solo ciò che si manifesta in superficie. Ed è già abbastanza.

Shusaku Endo

QUAESIVI ET NON INVENI

Lett.: “(Ti) ho cercato e non (ti) ho trovato”. L’arrivo in Giappone di Garrpe (Adam Driver) e Rodrigues (Andrew Garfield), i due preti gesuiti che da Macao salpano per andare alla ricerca di Cristóvão Ferreira (Liam Neeson), è paragonabile a quello di due bestioline strappate dalla loro terra e gettate in un mondo a loro completamente sconosciuto. Il poster del film sfiora, in tal senso, la perfezione: la figura sagomata di Ferreira si erge nera come la pece, fuoriesce da un banco di nebbia e ingloba dentro di sé le minuscole figure dei due preti mentre sullo sfondo il cielo minaccia tempesta.

In questa mission, che Garrpe e Rodrigues hanno profondamente voluto, sono guidati dalla Fede e si devono fidare di una guida, l’ubriacone e tormentato Kichijiro (Yôsuke Kubozuka). Fin dal loro sbarco in terra nipponica, l’ansia di essere scoperti e il terrore del non sapere nulla su quel luogo li spinge a trovare rifugio l’uno nell’altro: i due uomini si stringono tra loro, si abbracciano nel buio della notte, si confortano in preghiere rassicuranti, sono come due cuccioli tolti per loro stessa richiesta -il “superiore”, padre Valignano (Ciarán Hinds), era contrario a questa spedizione- dal caldo ventre materno della Chiesa, che imparano a camminare per la prima volta da soli. L’apparizione di Ichizo (Yoshi Oida) nella grotta, capo spirituale del villaggio di Tomogi dove viene segretamente praticato il Cristianesimo, darà di fatto inizio al vero percorso esistenziale e spirituale dei due preti.

Silence dissemina numerosi interrogativi: il Giappone è una terra in grado di ospitare il Cristianesimo? Come poter contrastare le persecuzioni ai danni dei cristiani? Dio come può permettere le atrocità del mondo? Dio è in grado di ascoltare le suppliche dei fedeli? Dio può perdonare un credente che abbandona la Fede? Ma la domanda che sembra pervadere più di tutte il cuore dei protagonisti è anche quella più immediata e alla base di tutto: Dio esiste davvero?

Che il dialogo con Dio sia solo un soliloquio tra un credente e se stesso e che le preghiere si perdano nel silenzio oppure che non sia così, rimane comunque sotto gli occhi di Garrpe e Rodrigues che migliaia di cristiani giapponesi perseguitati ed incapaci di rinnegare il nome di Dio, vengono torturati crudelmente fino a quando non sopraggiunge la morte o giustiziati pubblicamente, in modo che serva da lezione per quelli che invece sono stati risparmiati, senza che nessuno possa efficacemente fermare questo massacro. Perché Dio, di fronte a tutto questo, non cala la sua manina e salva i suoi figli?

Ecco che la Fede dei due gesuiti inizia a vacillare. Il primo che sembra cedere è Garrpe, che già nei giorni trascorsi nascosti nella capanna del carbone inizia a mostrare segni d’insofferenza e a dubitare sul senso della loro missione e, senza mai portare i suoi ragionamenti all’estreme conseguenze, sulla presenza di Dio su quella terra. Rodrigues, invece, sembra reggere meglio i colpi e resiste più a lungo, spinto da un desiderio di scoperta della verità per far luce sulla scomparsa di padre Ferreira, anche a costo di accantonare la Fede per qualche attimo in vista di un pericolo mortale: emblematico il momento di rottura tra i due preti quando Rodrigues dice ai contadini giapponesi che “calpestare il fumie va bene”, fiducioso che Dio li perdonerà per un gesto che non intacca il loro credere, ma appena finisce la frase Garrpe lo fulmina con lo sguardo dicendogli che no, non va bene.

Va a finire che i poveri abitanti di Tomogi il fumie lo calpestano come Rodrigues ha detto di fare (tra l’altro, l’efficace scelta di registica di non far sporcare l’immagine sacra nonostante il fango attaccato ai loro geta conferma quanto detto poc’anzi: la Fede autentica non può essere corrotta da un gesto compiuto, ma non sentito), ma quando viene intimato loro di sputare a turno su una croce, questi -tranne Kichijiro- non riescono a farlo e vengono puniti con l’affogamento della marea dopo essere stati messi su di una croce.

Grosso modo da questo punto in avanti, Silence diventa quasi totalmente un film su Rodrigues e sul suo rapporto con la Fede. Se nelle prime ore in Giappone lo spaesamento era dovuto al non conoscere quel luogo, dal momento in cui i due preti prendono vie separate, lo smarrimento di Rodrigues diventa quello nei confronti della Fede, un’ossessione che va oltre la sofferenza fisica (sua, ma soprattutto quella inflitta agli altri). Il prete è tormentato, si sente tradito, sembra perdere ogni punto di riferimento e semplicemente non è pronto a quello che sta vivendo, e come potrebbe esserlo d’altronde. Non riesce a credere che Ferreira abbia potuto abiurare, dubita dell’esistenza del Paradiso (la favoletta di un luogo migliore, senza tasse e senza lavoro, riescono a bersela i cristiani giapponesi: si nutrono degli insegnamenti biblici senza rendersi conto che il veleno insito in essi li sta prematuramente portando alla morte), ma soprattutto inizia a realizzare che le radici del Cristianesimo possono solo marcire in quella terra paludosa, che giorno dopo giorno lo sta risucchiando dentro di sé.

INQUISITIO

Con denti da Provolino e un’artrite che ingessa i movimenti del corpo, il volto del Male in Silence è quello di Inoue Masashige (Issei Ogata), vecchio samurai e ora governatore persecutore di tutti i giapponesi convertiti al Cristianesimo. La mostruosità e il sadismo di Inoue sono al servizio dello shogun, che ha decretato l’annientamento di ogni forma religiosa estranea al buddismo. L’attuazione di questo piano avviene con una modalità simile a quella del go, un gioco da tavolo di origine cinese che in Giappone ha goduto di enorme successo (Yasunari Kawabata ne ha fatto l’argomento principale di uno dei suoi romanzi più importanti: Il maestro di go). Obiettivo del go non è la distruzione dell’avversario tramite eliminazione dei suoi pezzi, cosa che invece avviene negli scacchi o nella dama, ma il progressivo “soffocamento” delle sue pedine attraverso conquiste territoriali lungo il tavoliere utilizzato (goban), utilizzando strategie complesse e partite che possono durare giorni interi.

Quando al temibile governatore viene riferito della presenza dei due preti e poi quando questi vengono fatti prigionieri, Inoue né li uccide né sembra avere intenzione di farlo, ma li sottopone ad una tortura psicologica inaudita: decapita, fa crocifiggere, fa affogare alcuni cristiani per spingere quei due rappresentanti di Dio all’abiura, un atto che può far interrompere (e, di fatto, lo farà) quella sfilza di omicidi. La morte di Garrpe non può essere considerata come un atto deliberatamente voluto da Inoue, ma come una conseguenza (quasi) imprevista in grado di produrre in Rodrigues l’effetto sperato. Ampiamente nutrito, ben vestito, tenuto all’interno di una cella singola e da solo, Rodrigues diventa pedina immobile sulla scacchiera di Inoue fino all’apice dell’insopportazione di quella condizione e alla scelta dell’abiura.

Un’immediata esecuzione di Rodrigues non avrebbe significato la stessa cosa. La vittoria di Inoue si realizza giorno dopo giorno, a piccole mosse, come quei tagli dietro le orecchie che portano ad una lentissima morte per dissanguamento. C’è la volontà di annientare lo spirito dell’avversario e nient’altro che quello. La ferocia e la crudeltà non sono gli unici strumenti utilizzati per ottenere questo scopo. Il modo stesso con cui vengono denominati i cristiani sembra volutamente essere una tentativo di deformare la loro fede religiosa: i credenti vengono chiamati Kirishitans, invece che Christians. È possibile che questa modificazione nella pronuncia tra le due lingue sia dovuta al fatto che in quella giapponese il ch venga addolcito in una sorta di ci, ma non sarebbe comunque un unicum assistere nella storia dell’umanità ad una storpiatura lessicale del vocabolario di un popolo al fine di farlo sentire inferiore. Privare qualcosa della sua identità è un’arma di un’efficacia spaventosa.

Al di là dell’orrore descritto in Silence, è possibile a tutti gli effetti dare torto alla decisione di estirpare ogni focolare di Cristianesimo in Giappone? Gli stessi cristiani, in altre epoche e in altri territori, non sono stati protagonisti a loro volta di stermini e soggiogamenti di popoli di diversa fede? La Chiesa non si è resa colpevole di altrettanti spaventosi episodi con l’Inquisizione? La storia delle religioni non conosce pace, né ieri, né oggi, né mai. Sia Endo sia Scorsese non prendono una posizione che stia da una parte o da un’altra semplicemente perché non è il loro intento, nonostante entrambi provengano da un’educazione cattolica. La componente spiritual-religiosa, che apparentemente sembra sfociare qua e là in didascaliche forme di stretta partecipazione alle vicende, va inquadrata all’interno delle due opere di finzione (romanzo e film), senza interpretativi voli pindarici attorno al mistero della fede, che forse è bene rimanga tale, riguardante le due figure di Endo e Scorsese.

SI CUM JESUITIS, NON CUM JESU ITIS

Lett.: “Se andate con i gesuiti, non andate con Gesù”. Un gioco di parole in latino sui gesuiti la dice lunga su quanto e soprattutto su come in passato venisse giudicato l’ordine religioso fondato da Ignazio da Loyola. Un sistema ermetico come quello della Chiesa, nel quale non sembra entrare e dal quale non sembra uscire nulla, si autodifende creando le sue regole, slegandosi quanto più è possibile dal mondo circostante e finendo con l’esistere fluttuando all’interno di un’infrangibile bolla governata da una forma di potere in grado di dettare legge all’esterno e di essere sorda allo stesso tempo. Non stupisce, ma è quantomeno curioso che la première mondiale di Silence sia avvenuta nella Città del Vaticano di fronte ad un pubblico composto da quattrocento gesuiti.

Lo stupore è relativo visto che Francesco I è il primo Papa gesuita e ha dato finora prova di una qualche eccentricità in più di un’occasione (qualche mese fa, tra qualche sparata buonista e una telefonata ad Uno Mattina, ha trovato tempo per benedire Rodrigo Santoro che ha interpretato il ruolo di Gesù Cristo nel recente ed abominevole remake di Ben-Hur), ma ciò che incuriosisce è che cinquant’anni fa il romanzo di Shusaku Endo era stato giudicato proprio dalla Chiesa come un libro che andava contro la dottrina cattolica e pertanto ogni buon credente era esortato a non leggerlo. Si sa, gli anni passano e le cose cambiano e può anche succedere che si finisca col far propri anche quegli elementi in passato attaccati e criticati, inglobandoli dentro di sé. In fondo, la coerenza è qualcosa di suscettibile agli eventi in corso.

DEFORMATIO

Nel pomeriggio il cielo, che si era rischiarato, rifletteva le nubi nelle pozze di acqua bianca e azzurrina che restavano sul suolo. Accovacciato, agitavo l’acqua per bagnarmi il collo ora inondato di sudore. Le nubi sono scomparse dall’acqua ed è comparso invece il volto di un uomo. Sì, lì, riflesso nell’acqua c’era un volto stanco e incavato. Non so perché, ma in quel momento ho pensato al volto di un altro uomo. Quello era il volto di un uomo crocifisso, un uomo che per tanti secoli aveva ispirato gli artisti. L’uomo che nessuno di quegli artisti aveva visto con i proprio occhi e di cui tuttavia ritraevano il volto: il più puro, il più bello che mai abbia ispirato la preghiera nell’uomo e abbia corrisposto alle sue più elevate aspirazioni. Non v’è dubbio che il suo vero volto fosse più bello di qualunque cosa essi abbiano immaginato. Eppure il volto riflesso in quella pozza di acqua piovana era appesantito dal fango e dalla barba incolta e ispida; era magro e sporco; era il volto di un uomo braccato dall’angoscia e dalla stanchezza. Le sembra possibile che in una circostanza simile un uomo possa essere all’improvviso colto da un accesso di risa? Ho abbassato il volto sull’acqua, ho contorto le labbra come un pazzo, ho roteato gli occhi e ho continuato a fare smorfie e facce buffe nell’acqua. Perché ho fatto una cosa simile? Perché? Perché?

(Shusaku Endo, Silence, Milano, Casa Editrice Corbaccio, p. 75)

In maniera molto più silenziosa e senza farsi troppo notare, nel 2016 è stato presentato a Cannes ed è recentemente uscito in home-video Dog Eat Dog, il nuovo film diretto da Paul Schrader, storico sceneggiatore di Martin Scorsese anni addietro, soprattutto per due pietre miliari della cinematografia mondiale come Taxi Driver e Raging Bull. Di famiglia calvinista e spesso interessato a tematiche religiose all’interno dei suoi film, Schrader non lavora da quasi vent’anni con Scorsese e non ha collaborato in nessun modo alla stesura di Silence.

Tuttavia, in Dog Eat Dog e in Silence ci sono due scene che si somigliano talmente tanto che è impossibile non notare un continuum non tanto tra i due film, quanto tra i due sceneggiatori-registi. Nei primi minuti del film di Schrader si può vedere Mad Dog (Willem Dafoe, che è stato il Gesù de L’ultima tentazione di Cristo, scritto da Schrader e diretto da Scorsese) in preda agli effetti dell’eroina sparata in vena specchiarsi in bagno, nella casa della donna con cui vive, una fervente cattolica che ha tappezzato l’abitazione con croci e immagini di Cristo, e la sua immagine riflessa si sforma assumendo aspetti mostruosi: sembra lo specchio deformante di un luna park su cui scorre dell’acqua sopra, l’effetto è straniante quasi quanto quello che succede poco dopo.

In Silence invece, dopo essersi recato al villaggio di Goto e averlo trovato devastato, senza i suoi abitanti e pieno di gatti, Rodrigues s’incammina nell’entroterra e dopo aver ritrovato Kichijiro, beve da una fonte e inizia a delirare guardando il suo volto rispecchiarsi nell’acqua e assumere smorfie grottesche e innaturali fino a fondersi e diventare un tutt’uno con il ritratto di Cristo dipinto dal pittore El Greco (l’opera è Il Velo di Santa Veronica). A questo punto occorre fare un passo indietro e tornare a Dog Eat Dog: nonostante non abbia mai recitato in nessun’altra pellicola in tutta la sua carriera, il regista Paul Schrader si è ritagliato una particina neanche tanto piccola nel suo ultimo film interpretando un malavitoso soprannominato -udite udite- proprio El Greco.

Probabilmente anche questo è solo un caso, ma sempre nel 2016 Schrader ha scritto la sceneggiatura di un film (non diretto da lui) intitolato The Jesuit, che -è giusto sottolinearlo- nulla a che vedere con le vicende narrate in Silence. Qui, più che di mistero della fede, sarebbe il caso di parlare di quanto questi due amabili settantenni, anche se su binari diversi, ci stiano comunicando qualcosa che non siamo ancora in grado di decifrare completamente. D’altronde, anche i testi sacri sono ancora pieni di significati da scoprire, ma forse è meglio non trovare tutte le risposte perché comunque alla fine della fiera, che lo si voglia o meno, sulla schiena di ognuno c’è una croce e ogni testa è cinta con una corona di spine.

Simone Tarditi
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