
The Handmaiden, donne che amano le donne
February 7, 2017Immaginatevi questa scena: una “serata cinema” a casa Park.
Il nostro amatissimo Park Chan-wook ha predisposto tutto: il pollo fritto in quantità industriale, soju per lui e signora e latte alla fragola per la figlioletta.
Si siedono tutti sul divano, coperta sulle gambe ed accendono la tv. Tema della serata: una maratona di suoi film. Ebbene sì, Mr. Park è giusto un po’ egocentrico, ma a noi piace così! E tra torture, urla e carrellate rocambolesche, che il pubblico femminile presente in stanza non è riuscito a reggere coprendo i visi con le mani odoranti di frittura, c’è un’altra persona che non si sta poi così tanto divertendo. È proprio il padrone di casa, Park Chan-wook, che dinanzi a quelli che critica e cinefili hanno definito capolavori, non sembra essere del tutto soddisfatto. Di certo non perché i suoi lavori manchino di qualcosa, anzi, ma un sentimento specifico lo divora: la nostalgia.
Ne sono passati di anni dall’ultimo Stoker, non poi così tanti, ma Park Chan-wook vive di cinema, del suo cinema, ed anche solo un giorno senza mettere le mani sulla sua macchina da presa sembra un giorno sprecato.
Ed è da qui che nasce la sua voglia di rimettersi in gioco, di sorprenderci e sorprendersi ancora una volta con un nuovo mastodontico prodotto cinematografico. Un altro film sulla vendetta? Oh su su, si è già fatto conoscere per quello, oramai è un’etichetta bella piazzata, puntiamo a qualcosa di ancor più stuzzicante. Perché non dar vita ad un film… sull’amore? Oh sì, ma un amore alla Park Chan-wook, un amore che odora di negazione, sofferenza, un amore proibito, e perché no? Un amore che strizza l’occhio alla comunità LGBT. Certo, c’è da dire che in Sud Corea è un argomento ancora tabù, ma stiamo parlando di Park Chan-wook e fidatevi, se n’è sempre fregato delle limitanti credenze etiche su cosa sia giusto o sbagliato (basti pensare ai vari incesti nei suoi film, LOL). E che amore lesbo sia!
Ok, torniamo seri ora! Park Chan-wook, regista della vendetta, abile curatore di luci, inquadrature e dettagli, porta a Cannes nel 2016 The Handmaiden (아가씨, Agassi), liberamente ispirato al romanzo di Sarah Waters “Ladra”. Decide però, diversamente dal libro, di ambientare la storia nella sua tanto amata ed odiata madre patria negli anni ’30, epoca in cui la Corea subì l’occupazione giapponese, un periodo coloniale che durò circa trentacinque anni dove il Giappone attuò una politica di modernizzazione economica assai rigida nei confronti dei coreani, col tentativo di distruggere la loro cultura (vero obbiettivo della politica coloniale giapponese).
The Handmaiden è diviso in tre parti focalizzate sulla storia della giovane Sook-hee (Kim Tae-rin), una ladruncola analfabeta che viene ingaggiata da un seducente truffatore (Ha Jung-woo) che si farà chiamare Conte per tutta la durata della pellicola. L’obiettivo di quest’ultimo è quello di far perdere la testa all’incantevole Hideko (Kim Min-hee), nipote di un vecchio bibliofilo pervertito, conquistandola con l’aiuto di Sook-hee che diverrà sua cameriera personale, affinché possano poi rinchiuderla in un manicomio ereditando così le sue fortune. Quanto appena descritto è solamente la prima parte del film perché, se un po’ conoscete Park Chan-wook, saprete bene che nulla è come sembra e che tutto può cambiare nel corso della storia.
Ebbene sì perché le due protagoniste, costrette con l’inganno a socializzare (ognuna per il proprio tornaconto) scopriranno che dietro alle loro menzogne abilmente inscenate si nasconde qualcosa di vero, un autentico sentimento di affetto, un desiderio che sfocia nella carnalità e nella speranza d’iniziare un nuovo capitolo della loro vita lontano da tutto ciò che le circonda al momento.
Per quanto il cinema di Park Chan-wook sia caratterizzato dall’estetizzazione della violenza e dal principio di vendetta, ciò che evince da The Handmaiden è l’ossessione del regista per la privazione della libertà.
Al di là dei simbolismi ricercati nel suo cinema, l’assenza di libertà si manifesta in modo del tutto trasparente.
Pensiamo ad Oldboy in cui il protagonista interpretato dall’acclamato Choi Min-sik viene imprigionato per ben quindici anni in una piccola stanza senza ch’egli sappia il motivo. Oppure prendiamo Lady Vendetta come esempio della prigionia di Geum-ja, vittima dell’inganno di un uomo senza scrupoli, confinata in un vero e proprio carcere in cui maturerà il desiderio di espiare i propri peccati attraverso la violenza.
Ed è proprio in questa costrizione, in questi destini limitati e limitanti, che i personaggi di Park Chan-wook divengono animali, si trasformano da vittime a carcerieri, mutano la loro stessa identità per un fine a volte egoistico a volte necessario.
Ma lo scopo del film non è solo quello di esaudire le preghiere delle protagoniste che vogliono fuggire, ma di descrivere anche i sentimenti di una libertà ancor più grande e cioè quella di nazione occupata.
Focalizzandoci sulla componente umana della pellicola, la più grande condanna di Sook-hee e Hideko è quella di essere donne, rilegate ad una sorte che a loro sta troppo stretta, dove uomini che vantano potere e mascolinità le riducono ad un’esistenza di rassegnazione e sottomissione, senza alcun barlume di luce.
Ma queste sono donne che odiano gli uomini, od ancor meglio, donne che amano le donne. Donne che cercano una via di fuga attraverso la vendetta, ma senza sporcarsi le mani come in Sympathy for Lady Vengeance, perché non ce n’è assolutamente bisogno. La miglior arma è la parola, l’inganno, l’essere subdole al momento giusto.
Le protagoniste di The Handmaiden hanno in comune un dettaglio che spesso ricorre nel cinema dell’autore coreano, cioè l’assenza della figura materna, in qualche modo simbolo di libertà. Che le abbiano conosciute o meno, le figlie saranno sempre legate alle loro madri, come se esistesse una sorta di cordone ombelicale invisibile che sancisce il loro legame di sangue.
Per Park Chan-wook nulla è più importante e significativo degli anni dell’infanzia, poiché è il periodo in cui si è più sensibili e fragili alle vicende familiari che possono drasticamente segnare l’io delle persone. Ed è proprio nell’infanzia che pian piano si smarrisce la propria libertà, un tempo illusione che diviene poi un’amara realtà.
Nella seconda parte di The Handmaiden veniamo a conoscenza del passato di Hideko, seviziata e sottomessa dalla figura del nonno che la costringeva ad estenuanti letture di giapponese, in particolar modo di opere letterarie a contenuto pornografico.
Sin da bambina, Hideko è stata bersagliata dalla visione di corpi privati di ogni indumento, insomma non la classica educazione che si da ai propri figli. Ed è proprio in quegli anni che Hideko sviluppa un odio nei confronti del suo destino ormai segnato.
Ciò che più ha fatto clamore di The Handmaiden è stato come il regista ha rappresentato le esperienze sessuali delle protagoniste. In Stoker, suo primo film con cast hollywoodiano, ci aveva dato un piccolo assaggio, mostrando la giovane e talentuosissima Mia Wasikowska impegnata a masturbarsi dopo aver assistito all’omicidio di un suo coetaneo che aveva tentato di stuprarla. Fu una scena che destò sicuramente scalpore, ci fu addirittura chi ne rimase inorridito, ma sicuramente possiamo considerare ciò come una sorta di precursore per le scelte future di Park Chan-wook. Infatti raramente nel cinema coreano si sono dati spazio ed attenzione all’atto sessuale di una donna in assenza di un uomo. Sì perché possiamo fermamente evincere dalla visione di questo film che l’uomo (in questo caso inteso strettamente come apparato genitale maschile) è del tutto inutile per l’appagamento e la realizzazione delle protagoniste.
Gli uomini di The Handmaiden risultano indesiderati, se non patetici e ridicoli. Il Conte è solo un fastidio per le due ragazze, mentre il nonno di Hideko, che costringe quest’ultima a leggere letture erotiche davanti ad un pubblico di pervertiti, è un sadico manipolatore convinto ciecamente di ciò che le donne desiderano dagli uomini (sbagliandosi).
È davvero interessante notare come la sessualità maschile venga considerata insoddisfacente ed, in molti punti, grottesca, andando così a confrontarsi con la chimica innegabile che si crea fra le donne del film, un mix letale di calore e mistero che non ha paragoni.
Molti potrebbero considerare la scelta di Park Chan-wook di mostrare due donne coinvolte in un rapporto sessuale come la messa in scena di un uomo attratto da ciò che sta mostrando, un’espediente gratuito per regalare al pubblico dei semplici corpi nudi, ma l’impotenza dei personaggi maschili aiuta a contrastare le malelingue.
Negli ultimi anni a Cannes sono stati presentati alcuni film a tematica LGBT in cui le donne erano le assolute protagoniste: La Vita di Adele di Abdellatif Kechiche nel 2013 e Carol di Todd Haynes due anni dopo.
Se in queste pellicole l’atto sessuale è stato mostrato nella sua eleganza, in uno senza tanti filtri, nell’altro invece con parsimonia, in The Handmaiden non c’è spazio per alcun abbellimento.
Queste donne sudano, si muovono con fare animalesco, perdono quella compostezza che tanto le caratterizzava nei loro abiti di pizzo e seta. Nessun rumore viene censurato, tutto viene lasciato nella sua naturalezza, perché stiamo parlando di sesso ed il sesso è tutto tranne che patinato e decorativo.
Come è stato precedentemente riportato, il film è suddiviso in tre parti distinte.
La prima parte si focalizza sulla manipolazione di Sook-hee nei confronti della timida ed impacciata Hideko, una truffa che si trasforma in un gioco di seduzione, ma dopo quarantacinque minuti la storia subisce bruscamente un inversione: il film infatti ci viene raccontato attraverso gli occhi di Hideko, che scopriamo non essere poi così tanto sciocca. Infine arriviamo all’ultimo sontuoso atto, dove tutto viene nuovamente capovolto.
L’identità di The Handmaiden si muove continuamente tanto quanto fanno i pallidi corpi di Hideko e Sook-hee nel loro letto in stile vittoriano. L’intera pellicola è un’erotica danza che seduce lo spettatore, portandolo ad un orgasmo visivo che raggiunge l’apice più intenso nella conclusione finale.
Come sempre Park Chan-wook si diverte (e ci diverte) giocando coi vari generi cinematografici, offrendoci un intenso thriller psicologico dalle venature romantiche, un sontuoso racconto di identità mutevoli ed amori proibiti. Ma prima di tutto, The Handmaiden è cinema allo stato puro, un’inquietante favola di passione e tradimento che punta su una fotografia di lusso, senza mai perdere di vista il nucleo umano del racconto. Si può benissimo considerare quest’opera come l’ennesimo salto evolutivo artistico di una carriera già brillante.
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