Compagni di Scuola, non ci restano che i ricordi

Compagni di Scuola, non ci restano che i ricordi

March 15, 2017 0 By Gabriele Barducci

Alcune volte si parte dalla fine per tirare le somme ma qui cominceremo dall’inizio.
Quello che sarà poi denominato come ‘il povero’ Fabris si avvicina Finocchiaro e diviene subito oggetto di scherno, rassegnandosi alle derisioni del vecchio compagno di scuola ritrovato: “Tu sei sempre lo stesso, non sei cambiato per niente”. Finocchiaro ha fatto fortuna, ben vestito, macchina importante. Fabris è dimagrito, stempiato, nessuno lo riconoscerà, con un tristissimo mazzetto di fiori da portare a Federica, proprietaria della villa e ideatrice di questa rimpatriata tra vecchi compagni di scuola del liceo che non incontra da più di quindici anni.
Questa pellicola di Carlo Verdone, oltre ad essere una delle meno conosciute dal pubblico generalista è, paradossalmente, forse uno dei migliori film scritti dal regista e attore romano.
I minuti che seguono sono una carrellata degli altri ex compagni, ognuno con la sua particolarità e una storia da raccontare: chi ha un figlio ma non un marito, chi ha subito un’operazione al cuore, chi è morto, chi è sterile, chi è un sottosegretario, chi è in vena di grandi scherzi e chi coglie l’occasione per cercare di strappare soldi per coprire i suoi guai finanziari.
Compagni di scuola non ha una vera e propria natura narrativa, d’altronde, di cosa stiamo parlando? Di ragazzi ora adulti, vissuti e con le loro storie alle spalle. La sincerità, lo scherno e il sentimento che c’era da adolescenti non c’è più.
Federica – una magnifica e brillante Nancy Brilli – coglie l’occasione di passare le ultime dodici ore in quella che poi non sarà più la sua villa, la sua vita: lei di ‘mestiere’ si dichiara come mantenuta da un compagno milionario che ora l’ha mollata. Di sua stessa ammissione vuole passare le ultime ore in compagnia con quelli che per lei, le potevano far passare in allegria e spensieratezza le sue ultime ore per poi lanciarsi nell’ignoto del domani.
Ma questa cornice non si addice solo al suo personaggio, in quanto ognuno sembra cogliere l’occasione per scappare, fuggire da una vita troppo stretta che forse nessuno pensava di avere in giovane età: chi è chiuso in un matrimonio infelice, chi ha un marito poco interessato/interessante e chi, dopo anni di sofferenze, riesce a dichiararsi finalmente, ma per tutti è troppo tardi.
Er patata (Carlo Verdone) è la grande vittima di una quadro mal dipinto. Lui è la classica rappresentazione del ‘nasci, cresci, ti diverti e poi incontri una donna che ti fotte la vita’. Così arriva il lavoro frustrante e la necessità di trovarsi una giovane amante. Questa serata sarà l’occasione per avere lo slancio, per decidersi finalmente a lasciare la frigida moglie, il figlio antipatico e lasciarsi cadere nel calore della giovane ragazza, ma tutto crolla. La spensieratezza e i sogni di un futuro migliore non appartengono a loro.
I tempi del liceo sono andati via. Tutta la serata è stato un felice ritrovarsi e chiacchierare, elemosinare qualche soldo con un piattino in bocca – scena emblematica ma ci torneremo tra pochissimo – e rendersi conto che è stato un piccolo gesto di affetto, che ha vissuto in quelle mura, in quelle ore. Al mattino dopo, tutto deve tornare come prima, ognuno ritorna alla propria vita e affrontare i propri problemi.

La scena finale emblematica è a rappresentanza del grande valore narrativo del film: Ciardulli, alias Tony Brando, alias Mike Foster, nonostante la serata passata a elemosinare soldi e a riempirsi di ridicolo, non si ferma altri secondi ad aiutare Ruffolo (Er patata), infatti di sua stessa ammissione, deve andare a vendere alcuni quadri, spacciandoli per originali, per racimolare soldi. Saluta l’affranto Ruffolo, che ha perso sia moglie che amante e getta la sigaretta a terra.
Ruffolo guarda la sigaretta, si china, la prende e la porta alla bocca per tirare una lunga boccata. La grande menzogna della nostra vita smascherata in un gesto: andare in giro con una sigaretta finta, dicendo a tutti di aver smesso da anni, che tenerla per lui è “un rito”, ma il fumatore che eravamo da diciottenni è lì, in agguato nella malinconia e nel caos della vita. Forse dovremmo ripartire da lì, imparare a conviverci con questa tristezza di fondo, essere come Ciardulli, vivere con dignità nell’incoerenza della vita. Tutto il resto, sono ricordi e affetto che non ci appartengono più.

Gabriele Barducci
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