Tredici, al suicidio di Hanna Baker, rispondo con l’impiccagione di Daisy Domergue

Tredici, al suicidio di Hanna Baker, rispondo con l’impiccagione di Daisy Domergue

April 20, 2017 0 By Gabriele Barducci

Il titolo è quanto di più riassuntivo: Tredici, questa nuova serie tv prodotta da Netflix che tanto ha intasato il web nelle ultime settimane, non è un capolavoro.
Sarebbe ottimo contestualizzare e teorizzare la serie, senza troppi fronzoli. In molti si sono sentiti in dovere di parlare in modo esagerato perché, parafrasando tali opinioni, si doveva parlare della serie visti i temi forti trattati quali bullismo, morte, stupro, violenza e suicidio.

Quanto di più falso, o meglio, teorizzato male.

Tredici si qualifica come serie buona, ma lungi dall’essere bellissima.

In una visione totalmente opposta, invece di provare tristezza per una sequenza di eventi che ci mostrano cosa ha portato al suicidio di questa ragazza, ci chiediamo se questi siano veramente il motivo di una scelta grandissima quanto debolissima – il suicidio è segno di debolezza, su questo non piove – o se invece, questo giro di tredici cassettine audio, non sia altro che una sorta di vendetta, comunque sia sempre obsoleta, di una persona che forzatamente cerca di mettere in soggezione, far sentire in colpa le tredici ‘vittime’.

Ma. C’è un grande ma che permea tutta la serie. A pochi giorni dalla visione dell’ultima puntata di Tredici, abbiamo recuperato film deliziosi come La mia vita da Zucchina. Prodotto piccolo, appena sessanta minuti e temi parallelamente vicini, eppure questo piccolo film d’animazione francese riesce a tendere una mano invisibile a tutti gli spettatori in ogni singola scena ‘difficile’ o ‘socialmente disturbata’. C’è una forte morale di fondo, anche più di una, ma in un mondo e una realtà sempre più difficile, ci hanno sempre insegnato che dopo la pioggia arriva sempre il sole e se non arriva subito, un arcobaleno ci indicherà la via.
Tredici non porta nessun messaggio perché ha il grande difetto di parlare di tante, troppe cose, non riuscendo a veicolarne ottimamente neanche una. Si parla di bullismo, di sessismo, ma mai addentrarsi nelle vere motivazioni che possano mettere a disagio una ragazza di ceto medio.
Una lista dove la si elegge ragazza con il più bel culo della scuola, può effettivamente essere un motivo per portare al suicidio di una ragazza? Forse, in piccola parte ma mai abbastanza per poi costruire le seguenti cassette, le seguenti motivazioni, sempre troppo abbozzate, mai approfondite.

Dal racconto generale emerge una realtà probabile di cui non si fa mai accenno: Hanna Baker forse era una ragazza con qualche piccolo disturbo. Probabile ma forse non effettivo.
Per quale motivo una ragazza che, a serie conclusa, scopriamo avere quattro spasimanti, tra cui anche una ragazza, così da abbracciare ogni singola possibilità sessuale, più volte piange il suo sentirsi sola? Probabilmente tra chi era timido e chi non riusciva ad esprimere al meglio i propri sentimenti si potevano creare dei disguidi ma una presenza, maschile o femminile accanto a lei c’era sempre.

Un altro elemento che potrebbe mostrare come il pubblico sia stato totalmente ipnotizzato mediocremente dalla serie è riportato da dei disclaimer prima dell’inizio di alcune puntate: “questa puntata può urtare la vostra sensibilità”. Pochi minuti dopo ci troveremo davanti una scena di stupro, mai netta ma sempre tagliata dal montaggio che tiene tutto all’oscuro e nell’ultima puntata, il suicidio della stessa Hanna Baker.

La nostra mente è qualcosa di straordinario, ci dicono che un film che stiamo attendendo è in uscita e ci riempiamo di hype, poi lo vediamo, è anche un film buono ma niente, siamo stati delusi e viceversa, film di cui non sappiamo nulla e poi vediamo in sala, ne usciamo in estasi.
Quanto può influenzare un disclaimer del genere ad inizio dei prossimi 45 minuti di puntata è dimostrato dalla mole di feedback di gente accasciata a terra, presa dalle convulsioni di stomaco, a vomitare organi interni ma poi si vantano di rimanere impassibili davanti gli splatter o di aver riso all’impiccagione di Daisy Domergue.

Gabriele Barducci