13 film per chi ha amato ed odiato Thirteen Reasons Why

13 film per chi ha amato ed odiato Thirteen Reasons Why

June 15, 2017 0 By Angelica Lorenzon

A distanza di mesi dall’uscita di Tredici (13 Reasons Why), serie tv approdata nell’universo Netflix a fine marzo, ancora se ne parla, discutendone la qualità ed interrogandosi sulla seconda stagione annunciata, che per molti non ha senso di esistere.

Suicidio, bullismo, stupro, victim blaming, slut shaming, stalking: queste sono solo alcune delle tematiche affrontate in Tredici. E che vi sia piaciuta o meno questa serie tv, Vero Cinema desidera consigliarvi non uno ma bensì tredici film che affrontano i sopracitati temi nella speranza di porvi ulteriori domande e riflessioni.

 

Detachment – Tony Kaye (2011)
Dal provocatore regista di “American History X” non ci si può che aspettare un’altra pellicola controversa che disprezza e condanna senza se e senza ma il fallimento del sistema educativo scolastico, citando opere come “Lo Straniero” di Albert Camus e “La caduta della casa degli Usher” di Edgar Alla Poe.

L’inferno terreno descritto nel film è una scuola media pubblica contraddistinta da studenti completamente allo sbando e professori che più di ogni altra cosa odiano il loro lavoro. Protagonista è lo sguardo malinconico di Henry Barthes (Adrien Brody), supplente dall’animo solitario e distaccato che regolarmente fa visita alla casa di cura dove ospitano il nonno malato di demenza.

Pur desiderando una vita semplice e senza troppi coinvolgimenti emotivi, si fa carico di dare rifugio a casa sua ad una prostituta minorenne, perché infondo Henry è un buon samaritano. Eppure in più occasioni si ritrova a fare un passo indietro, perché offrire altruismo agli altri è sì un’opera di bene, ma quando questi chiedono troppo, la faccenda si complica e tutta quell’empatia viene a mancare. L’errore di Henry, come del resto quello dei suoi colleghi insegnanti e dei genitori degli alunni, è che spesso si è convinti di fare la differenza, ma a volte ti rendi semplicemente conto di aver fallito, deludendo chi ti è vicino ma soprattutto te stesso.

Perché il mondo familiare di Detachment è privo di ogni qualsivoglia comprensione ed ascolto nei riguardi dei figli, non vi alcun tipo di appoggio emotivo e supporto verso i loro slanci artistici. E se questi, in qualche modo, tentano di esternare il loro malessere, le loro parole finiscono per perdere di significato di fronte alla cecità dei genitori. E se da casa non vi è il sostegno, a scuola non c’è speranza di trovare la scialuppa di salvataggio.

 

Han Gong-Ju (한공주) – Lee Su-Jin (2013)
Costretta a lasciare casa e scuola per trasferirsi nella lontana città di Incheon, la diciassettenne Han Gong-Ju cerca inutilmente di rifarsi una vita, circondandosi con riluttanza di nuove compagne di classe, sforzandosi però di rimanere nell’anonimato. Ma il passato la rincorre, l’afferra e la trascina con se, portandola a rivivere la tragedia che l’ha indelebilmente segnata: il suicidio della sua più cara amica. Per tutta la prima parte del film ci è ignota la ragione del trasferimento della giovane Han Gong-Ju, dandoci solamente di tanto in tanto qualche flashback della sua vita remota. Ma il regista, quando sceglie di svelare l’orribile vicenda che ha segnato la protagonista, ci pone davanti ad un orrido scenario che è una realtà tuttora presente in Sud Corea e cioè l’inefficienza giudiziaria nei casi di violenza minorile, in cui i colpevoli possono comprare la propria libertà sborsando del denaro, come se l’innocenza e la colpevolezza non dipendessero più dalla legge ma dal conto in banca. È qui che l’umanità cessa di esistere e le vittime si ritrovano a sopravvivere a stento, con la vergogna e la paura di affrontare il nuovo giorno, bersagliate dai media e da una società ingiusta ed immorale.

 

 

Il Giardino delle Vergini Suicide – Sofia Coppola (1999)
In passato Vero Cinema ha approfondito parte della filmografia di Sofia Coppola, ponendo la sua lente d’ingrandimento sul noto Il Giardino delle Vergini Suicide, film tratto dall’omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides.
Il suicidio di massa ad opera di cinque sorelle dalla bellezza invidiabile diventa l’irrefrenabile ricerca di un perché da parte di alcuni loro coetanei, ossessionati da questo angoscioso fatto. Per quanto da fuori potessero sembrare delle spensierate ragazze dalle fluenti chiome bionde, talvolta ammiccanti e dal volto angelico, la ragione di tale tragedia si può ritrovare fra le mura di casa.

Per quanto le protagoniste desiderassero ardentemente vivere, era negata loro ogni libertà, costrette ad una vita priva di ogni sorta di piacere e frivolezza che, nell’età adolescenziale può significare tutto.
Bisognerebbe possedere un curriculum valido per fare i genitori, seguendo le istruzioni passo per passo, senza commettere alcun errore, eppure spesso non basta pensare da “bravi genitori”, perché di occhi di un adulto non coglieranno mai la miseria e l’infelicità di un figlio.

 

Suicide Club / Suicide Circle (自殺サクル) – Sion Sono (2001)
Dei tredici film proposti, questo è sicuramente il titolo più accattivante ma allo stesso tempo di difficile comprensione. Stiamo parlando di Sion Sono, uno dei registi giapponesi contemporanei più eclettici e sperimentali.
È assai complesso descrivere la trama di Suicide Club. Cinquantaquattro studentesse si gettano sui binari della metropolitana di Shinjuku, a Tokyo. Da quell’episodio, prenderanno il via altri suicidi e la polizia non riuscirà facilmente a collegare un caso con l’altro. Unici indizi: un borsone contenente un rotolo di segmenti di pelle umana ed una telefonata anonima di una hacker che svelerà l’esistenza di un sito internet che tiene il conto dei suicidi, oltretutto anticipando il numero dei prossimi decessi.

Sion Sono tratta una delle tematiche più ricorrenti nel suo cinema, cioè l’isolamento dell’individuo come conseguenza dell’alienazione di una società giapponese in cui viene annullata ogni sorta di percezione di se stessi. La banalità delle culture e delle mode giovanili, il consumismo, idolatrare figure stereotipate e totalmente vuote, non ha fatto altro che alterare la visione che si ha di se stessi e del proprio corpo, che finisce inevitabilmente per diventare merce, un semplice oggetto. In questo film i media ed i mezzi di comunicazione di massa (dalla musica ad internet) non sono altro che uno strumento alienante che lascia attorno a se solo morte, quella metro che a tutta velocità spazza via decine di vite come se non avessero alcun valore.

 

Precious – Lee Daniels (2009)
Precious (Gabourey “Gabby” Sidibe) è grassa e questa è la sola ragione per cui è odiata da tutti. Evita di guardare la gente, non parla mai, asociale di sua volontà, quasi analfabeta, stuprata più volte dal padre. Piccolo dettaglio: Precious non ha ancora diciassette anni compiuti.

In ogni ambiente si sente a disagio, dalla scuola dove non mancano le crudeltà (fisiche e verbali), all’ambiente familiare dove la madre non la incoraggia allo studio, negandole ogni speranza per un futuro più roseo e la incolpa di averle “rubato il figlio”, negando così ogni responsabilità dello stupro a chi l’ha commesso.
Fortunatamente s’intravede un bagliore di speranza grazie all’intervento di un’insegnante ed un’impiegata dei servizi sociali che vogliono un futuro migliore per Precious, che si rimetterà in careggiata dando voce alla propria persona attraverso l’arte della scrittura e prendendo finalmente in mano le redini della sua vita.

Viviamo nell’olocausto del marketing, siamo vittime dell’assimilazione passiva del male che spesso assume le sembianze di una televisione che ci insemina in testa idee quali la bellezza è magrezza, idee che plasmano facilmente le menti più fragili, come quella di Precious e di milioni di adolescenti. Ma questo film, per quanto spiazzante e disarmante possa apparire, è la gloriosa testimonianza di una rivincita, di una crescita personale.

 

Blackbird – Jason Buxton (2012)
Questo è il coraggioso debutto alla regia di Jason Buxton con un film che narra le drammatiche vicende di un adolescente ingiustamente accusato di aver pianificato un massacro a danni dei suoi compagni di scuola.

Spesso sentiamo dire “I segnali di un’imminente tragedia c’erano, come si è permesso che tutto ciò accadesse?”, rivolgendo così le colpe a terzi. Ma cosa succede quando si sbaglia a giudicare l’indiziato, mal interpretando le sue tracce e tutto ciò perché questi rientra in quegli stereotipi di soggetti all’apparenza pericolosi, ma solo per il loro aspetto esteriore?

Sean (Connor Jessup) è un adolescente introverso, taciturno, con un piercing sul sopracciglio, folti capelli scuri e che si veste con abiti neri, un “metallaro”, così viene etichettato dai suoi coetanei (pur lui stesso non definendosi così). Pubblica in rete video del padre che disseziona un cervo dopo una battuta di caccia (a cui lui partecipa controvoglia non avendo ne la passione per le armi ne il coraggio di togliere la vita ad un animale), scrive flussi di coscienza in cui sfoga ogni sua rabbia depressa, è costantemente vittima di bullismo per mano dei compagni di classe, questo a causa del suo aspetto e del suo legame con la bella Deanna, fidanzata (non molto fedele) di uno dei giocatori di hockey della scuola.

Ma sono semplicemente un racconto furioso abbozzato su un quaderno, la musica che ascolta e l’espressione da “ce l’ho col mondo intero” a fare di lui un perfetto serial killer? A quanto pare tutto ciò basta ed avanza e Sean dovrà affrontare prima la carcerazione e poi gli arresti domiciliari, affogando la sua verità in un mare di fraintendimenti.

 

Afterschool – Antonio Campos (2008)
Rob (Ezra Miller) è uno studente responsabile di un progetto scolastico in cui deve filmare episodi di vita quotidiana a scuola. Accidentalmente riprende la morte di due popolari ragazze e gli insegnanti, convinti che possa essere terapeutico, gli chiedono di girare e montare un memoriale delle giovani vittime.

Nessuno può rimanere illeso dalla visione di una duplice morte, nemmeno Rob. Anzi, soprattutto Rob, così costantemente bersagliato ed ossessionato dai filmati in rete, che siano video di bullismo caricati su YouTube o porno nei siti vietati ai minori.

Violenza, strumentalizzazione del corpo, sessismo, alienazione: ecco i veri protagonisti di Afterschool. Un mix letale che segnerà radicalmente l’esistenza di Rob, che con fare apatico realizzerà una grottesca visione della morte, evidenziando ogni sua angoscia e turbamento, fino al sinistro ed agghiacciante finale.

 

 

Miss Violence – Alexandros Avranas (2013)
Presentato alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitore del Leone d’Argento, Miss Violence è la seconda opera di Avranas che descrive come l’equilibrio di una famiglia sia dettato dalla violenza fisica e morale, del tutto gratuita.

Quando i registi greci si ritrovano ad affrontare le tematiche familiari, lo fanno senza fronzoli ed abbellimenti. Preferiscono senza ombra di dubbio mostrare la crudeltà, il lato animale dell’uomo, l’immoralità che contraddistingue i capifamiglia, basti pensare al celebre Kynodontas (Dogtooth) di Yorgos Lanthimos.

La famiglia protagonista di Miss Violence ha un metodo alquanto poco ortodosso di provvedere al proprio mantenimento, portando così alla luce come la crisi economica (tematica spesso ricorrente nel cinema greco contemporaneo) sia il male della società, generando crudeltà e violenza. La figura umana viene denigrata e strumentalizzata, diviene un oggetto di scambio ed usufrutto, perde di ogni coscienza, sopravvive nel silenzio.

Eppure il film si apre con un incipit tutt’altro che perverso: il compleanno dell’undicenne Angeliki, circondata dalle sorelle e dai genitori che danzano e mangiano la torta. Qualche misero minuto di allegri canti e la vicenda assume un tono tutt’altro che sereno: la festeggiata si getta dal balcone di casa. Cosa avrà spinto una creatura così innocente, nel fiore della sua gioventù, a commettere un atto così tragico?
A prima vista nulla suggerisce che questa comune famiglia sia vittima di un maniaco del controllo dai valori poco discutibili. La violenza domestica, l’incesto, la prostituzione, la pedofilia, sono solo alcune delle accuse che il film ci presenta. Eppure assistiamo a così tanto marciume, che lo spettatore non può far altro che provare orrore e pena per le donne di quella casa.

 

Mean Creek – Jacob Aaron Estes (2004)
Il giovanissimo Sam viene picchiato dal tozzo e bullo George e decide di fargliela pagare facendosi aiutare dal fratello maggiore ed alcuni amici. Nel viaggio verso la sua personale vendetta, Sam capirà che George non è altro che un ragazzo problematico ma soprattutto solo, in cerca di attenzioni (sbagliando però nei modi) e di amici con cui collezionare bei ricordi. Peccato che la situazione degenererà ed i ruoli di vittima e carnefice s’invertiranno.

È alquanto inusuale vedere dei ragazzini discutere con serietà di moralità, colpe e responsabilità delle proprie azioni. Mean Creek ci vuole mostrare come il semplice pensiero del “se eliminiamo il bullo cattivo, ogni nostro problema finirà” sia completamente errata, perché non ci si ferma a considerare gli irreversibili effetti della vendetta, non solo nei confronti del bullo ma anche di se stessi.

Questo film funge da strumento prezioso per l’educazione morale nelle scuole, evidenziando la libertà che ognuno di noi possiede di ragionare con la propria testa, non seguendo necessariamente il branco.

 

 

Confessions – Tetsuya Nakashima (2010)
È l’ultimo giorno del primo semestre in una scuola media quando, dopo un lungo discorso tenuto dall’insegnante Yuko Moriguchi (Takako Matsu), in procinto ad abbandonare il suo lavoro, svela un’agghiacciante verità che riporterà l’attenzione di tutti i suoi studenti. Yuko ha volutamente contagiato il latte di due alunni (che nel corso del film prenderanno il nome di “studente A” e “studente B”) col sangue infetto dal virus dell’HIV del suo compagno. Le due vittime altro non sono che i responsabili della morte della figlioletta dell’insegnante, avvenuta mesi prima nella piscina della scuola.

Sapendo che il tribunale giovanile in Giappone può protegge i due studenti che hanno commesso l’ingiusto crimine poiché minorenni e dunque non pienamente consapevoli delle conseguenze delle loro azioni a causa della loro immaturità, Miss Moriguchi ha provveduto a farsi giustizia da se.

Uno dei due ragazzi continua a frequentare la sua scuola, malgrado diventi vittima di bullismo da parte dei compagni. L’altro invece, ossessionato dal timore di infettare i suoi amici, si confina nella sua stanza, non permettendo nemmeno alla madre di avvicinarglisi, rinchiudendosi in un tacito silenzio.

Nel corso del film, ogni personaggio confesserà i suoi peccati svelando ulteriori verità che definire agghiaccianti è dir poco, verso un finale decisamente catartico.

Domandiamoci: per quanto siano giovani, è davvero possibile che non sappiano classificare l’omicidio come un’azione sbagliata? È giusto esimerli da ogni colpevolezza solo perché minori?

Sicuramente gli amanti dei revenge-movies apprezzeranno Confessions dato che è un thriller psicologico che mixa sapientemente umorismo scuro ed una diabolica vendetta, così elegante nella sua evoluzione da rimanerne incantati. Ma questa pellicola si spinge anche oltre la semplice risoluzione di un omicidio intricato, ponendo l’attenzione dello spettatore sulla responsabilità che ogni civile ha nei confronti del prossimo.

 

…E Ora Parliamo di Kevin – Lynne Ramsay (2011)
Non è semplice mettersi nei panni di Eva (Tilda Swinton), una madre il cui figlio (Ezra Miller) è uno psicopatico che l’ha portata sull’orlo di un precipizio distruggendo la sua vita. Lei non voleva rimanere incinta, non voleva nemmeno sposarsi, non desiderava nulla di tutto ciò che ora possiede. E per quanto ella mascheri la sua ostilità con un’apparente gentilezza, il figlio Kevin fin dalla tenera età riconosce il rifiuto materno.

Kevin sembra possedere l’innato dono di sapere come ferire nel peggiore dei modi sua madre, ingannandola, vestendo le parti del figlio perfetto agli occhi del padre (John C. Reilly), sfogando i suoi sadici istinti verso la sorella minore, e questo al solo fine di far disperare Eva.

E fra flashback e salti temporali, viaggiamo nei ricordi di questa madre che, per quanto ci provi, vive in modo sbagliato una vita sbagliata con un figlio sbagliato.

Kevin si macchierà le mani di sangue, devastando con un ultimo teatrale gesto Eva che continua a domandarsi dove ha sbagliato e se quel rifiuto iniziale di avere un figlio sia l’origine del maligno che risiede nell’anima di Kevin.

Eppur non si può incolpare la madre di tanta malvagità.

E se ogni cattiva azione del figlio fosse solo un modo per attirare l’attenzione della madre? E se qualora questa cessasse di dargli peso, lui si ritrovasse senza uno scopo?

Eva è il pubblico del morboso show del figlio, ma quando le luci del palcoscenico si spengono, a Kevin non resta nulla se non una vita di misera solitudine.

 

Teenage Cocktail – John Carchietta (2016)
Annie (Nichole Bloom) lega fortemente con la compagna di scuola Jules (Fabianne Therese) e passano quasi tutto il tempo insieme. Tutto procede liscio fin quando Annie scopre che l’amica guadagna discrete somme di denaro mostrandosi in intimo in webcam a dei completi sconosciuti. Anche se inizialmente non apprezza l’hobby di Jules, alla fine si convince da quest’ultima, in nome della loro amicizia, a partecipare alle sue live via webcam, accurandosi di tenere il volto ben nascosto. La situazione degenererà ben presto.

Per Annie, come per molte altre sue coetanee, è difficile resistere alla tentazione di provare qualcosa di proibito, di moralmente scorretto. Questo non è il classico film in cui la ragazza più popolare della scuola manipola la più emarginata a suo piacimento. Fra Annie e Jules nasce una vera e propria simbiosi, che però sfocia nel malato quando si supera quella linea invisibile del giusto e sbagliato.

Jules non cerca mai di costringere con la forza Annie, ma l’ossessione di questa sarà la chiave per permettere alle due di agire senza freni inibitori, giustificando le dinamiche del loro rapporto.

 

Ragazze Interrotte – James Mangold (1999)
Questo film si può considerare il cult che ha consacrato Angelina Jolie e Winona Ryder nel panorama cinematografico. Tratto dal diario di Susanna KaysenLa ragazza interrotta”, protagoniste sono un gruppo di ragazze ricoverate in un ospedale psichiatrico.
A Susanna (Winona Ryder) le viene diagnosticato il disturbo borderline di personalità dopo che questa ha ingoiato un intero flacone di aspirine con della vodka, al solo scopo di curare un forte mal di testa (questo secondo la testimonianza della giovane). Durante la sua permanenza nell’ospedale incontra la carismatica e sociopatica Lisa (Angelina Jolie) ed uno svariato campionario di ragazze problematiche.

Invece di desiderare di andare in un college come il resto dei suoi compagni, Susanna non ha alcun piano per il futuro, se non la voglia un po’ timida di diventare una scrittrice. La maggior parte delle giovani donne del reparto di Susanna sono chiaramente più preoccupanti di lei. Basti pensare a Daisy (Brittany Murphy), ossessionata dai lassativi e dal pollo arrosto, probabilmente vittima degli abusi sessuali del padre, oppure a Lisa che diverrà la migliore amica di Susanna, sua partner nel bene e nel male.

Ragazze Interrotte è un gioiello dalla bellezza intensa, un teatro di giovani fragilità che flirtano con la follia. A loro la scelta se farsi coinvolgere o meno.