
Una Nuova Amica – Giovane e Bella, uno sguardo sul cinema di Ozon
August 11, 2017Una nuova amica, giocare ad essere se stessi.
“Una nuova amica” è la pellicola (uscita nel 2014) del regista francese François Ozon, di cui ne ha curato anche la sceneggiatura liberamente ispirata al racconto “A new girl friend” di Ruth Rendell. I colori della fotografia (di Pascal Marti) soprattutto nelle scene autunnali, rimandano alle atmosfere in technicolor dei melodrammi hollywoodiani. Possiamo avvertire contatti con il mondo del cinema non solo nelle tinte delle scene in esterno ma anche nell’attenzione di Ozon verso le donne protagoniste (come nelle opere di uno dei registi che ammira: Pedro Almodovar) e un’eco hitchcockiana in alcune sequenze vicine alla suspance. La tematica del travestimento alla “Laurence Anyways” (di Xavier Dolan, 2012) non è celata allo spettatore che può ben percepirla dall’immagine in locandina. Infatti non ci uniremo all’effetto sorpresa vissuto dalla protagonista Claire quando vedrà chi pensava di conoscere (fino a quel momento) indossare un ruolo diverso dal solito. Ciò che non ci aspettiamo sarà assistere al ribaltamento di alcuni cliché inerenti ai ruoli uomo-donna all’interno della famiglia e nei legami sentimentali d’amore e amicizia che si sveleranno poco alla volta nel corso dell’intreccio. Il travestimento consiste quindi nello spogliarsi delle abitudini borghesi (espresse dall’etica eterosessuale del marito di Claire) e trovare un nuovo habitus, sapendosi destreggiare anche quando le pulsioni del subconscio di Claire prenderanno il sopravvento. Paure e desideri materializzati all’improvviso, finzione e realtà che si sovrappongono: come in ogni pellicola del regista francese questo labile confine viene messo in discussione, mostrando attraverso le fratture che si vengono a creare, quanto possa essere verosimile mischiare queste due dimensioni. Allo spettatore viene lasciata la possibilità di una chiave di lettura in questo varco dove tutto rimane sospeso.
La scena dell’incipit, in cui la macchina da presa riprende dall’alto una giovane donna vestita da sposa non aiuta lo spettatore a definire la situazione. L’assenza di sfondo e la marcia nunziale extradiegetica lasciano un’immagine fluttuante senza tempo né spazio. Poi quando gli occhi della donna le vengono chiusi e il nostro sguardo si allontana, vediamo chiaramente la bara che incornicia questo “corpo giovane e bello” : i rimandi evocati inizialmente dalla nostra fantasia non corrispondono alla realtà della scena. La prima parte del film si focalizza sulla vita di Claire (Anaïs Demoustie) scossa dalla recente perdita della sua migliore amica Laura (Isild Le Besco). Conosciamo l’antefatto attraverso i flashback, riprercorrendo attraverso i ricordi di Claire le tappe di un’amicizia nata tra i banchi di scuola e che passando tra primi appuntamenti, delusioni e feste è arrivata alla vita adulta fatta di lavoro e famiglia. L’unione Claire-Laura, suggellata con un patto di sangue e incisioni di nomi su corteccia è ben salda ed essenziale nella vita di entrambe nonostante Claire rimanga spesso nell’ombra della sua amica più affascinante, intraprendente e bella di lei. Laura scomparirà prematuramente, a seguito di una malattia, lasciando un vuoto difficile da colmare sia nell’amica che nel marito della donna. Le due metà di Laura si ritrovano sole: la loro vicinanza non sarà immediata ma Claire cercherà di mantenere la promessa fattale di prendersi cura del marito David e della figlia di pochi mesi.
Nella seconda parte: Claire riscopre con il vedovo David (Romain Duris, protagonista in “Mood Indigo – La schiuma dei giorni” di Michel Gondry) non solo la joie de vivre ma anche sé stessa e l’altro. La narrazione lineare della prima parte viene capovolta da un colpo di scena: Claire andata a trovare l’amico lo soprende vestito in abiti femminili. Lui giustifica il suo travestimento per colmare un vuoto lasciato dalla moglie e allo stesso tempo rasserenare la figlia neonata a cui manca la figura materna. Necessità che David continuerà non solo per “rielaborare il lutto” ma anche per ri-scoprire la sua vera identità, accantonata durante il matrimonio perché non ne sentiva più il bisogno. Una mancanza che l’assenza della moglie, adesso, non può colmare. È con delicatezza e armonia che le due nuove amiche ricercano la propria identità: il momento del lutto ha avvicinato le loro esistenze e riescono a superarlo attraverso l’elemento della leggerezza, giocando a ri-scoprirsi per quello che sono sempre state. Iniziano così a trascorrere del tempo insieme truccandosi, facendo shopping, chiaccherando e diventando complici: Claire scopre un’amica in David che si sente finalmente capito e aiuta la donna a far ri-emergere la sua femminilità. Questo è “il segreto” da nascondere e il motivo da cui partiranno delle bugie, iniziate senza essere prese sul serio. Claire nel dare il nome di Virginia alla sua nuova amica cerca di proteggerla dall’esterno, ma allo stesso tempo si aziona un meccanismo d’inganni verso se stessa e suo marito. Il triangolo instaurato tra Claire, David-Virginia e il fantasma di Laura fa assumere ai rapporti delle prospettive inaspettate. L’amicizia diventerà altro ma Claire ne sarà confusa soprattutto dopo l’avvicinamento nella casa-rifugio in campagna di Laura dove ha visto i lati David-Virginia separati. Gli stratagemmi le affascinano finché non prendono il sopravvento, imprigionando la situazione in mezze verità. La protagonista comprende di quale parte ha desiderio durante la scena all’Hotel Virginia (i nomi ritornano, mai casuali). Colpisce vedere l’evoluzione di Claire: da osservatrice degli eventi a protagonista attiva e consapevole. Il suo vivere le emozioni in modo privato, tenendole chiuse in sé si contrappone al modo di essere di Virginia che tende ad esteriorizzarle, a spettacolarizzarle in quanto sa di essere guardata (soprattutto dagli uomini durante le uscite con l’amica). Virginia aiuta Claire a liberare le sue emozioni, a far sbocciare il suo essere donna ma anche a rielaborare la perdita di Laura: rendendola capace di liberarsi così dall’immagine riflessa dell’amata amica che ha sempre ammirato. Romain Duris, riguardo l’interpretazione del personaggio di David-Virginia ha dichiarato che voleva recitare un ruolo femminile fin dall’infanzia, in cui le sorelle maggiori giocavano con lui come fosse la loro bambola. È potuto entrare al meglio nella parte, non solo grazie all’ottimo lavoro di trucco e parrucco (costumista Pascalie Chavanne, make-up artist Gill Robillard) ma anche perché è stato seguito da un trainer (durante la perdita di peso per affinare i lineamenti del viso e renderli più delicati) e da una coreografa con cui ha lavorato sul modo di camminare e sulla gestualità per essere il più naturale e a proprio agio possibile senza caricare i movimenti ma esaltare il lato di Virginia con grazia.
L’occhio di Ozon:
Il piacere di girare film risiede nelle immagini: solo in questo modo, secondo Ozon, lo spettatore non può annoiarsi durante lo svolgimento dei fatti perché tutto rimane legato al desiderio di vedere qualcosa di bello su grande schermo. “Una nuova amica” viene intesa come una fiaba per idealizzare (e smorzare) una situazione difficile in cui gli accesi dibattiti su matrimoni gay e unioni di fatto sono ancora all’ordine del giorno. L’amore narrato è sui generis, ma non impossibile. L’elemento del gioco e spontaneità che vivono le due amiche nel film si riflette nell’entusiamo di Ozon verso il proprio lavoro. È con precisione e rapidità che la macchina da presa si muove leggera, presenza invisibile e costante. Il dinamismo lo porta ad occuparsi da solo anche del framing delle scene in cui non esistono tempi morti, inoltre un cameo e inserto metacinematografico sono altri esempi con cui rende omaggio alla sua passione. Come nel film “Giovane e bella” oltre al tema della ricerca dell’identità emerge la solitudine, l’angoscia quotidiana di non riuscire a farsi capire veramente da chi ci è vicino. L’importanza dei momenti di silezio è nelle parole non dette ma anche nell’aprirsi all’altro per conoscersi ed abbattere le barriere che separano. In “Una nuova amica” ci sono momenti in cui si ride e si piange, in cui la tristezza viene spazzata via da una gag ma non c’è nessuna presa in giro o lato grottesco perché lo humor non nasce dal cambio di genere di David ma dalle situazioni che esso comporta. David-Virginia non è un personaggio ridicolo ma umano, a volte fin troppo sincero: la sua vulnerabilità ha rischiato di virare nel morboso quando confessa a Claire di aver provato piacere durante la vestizione della moglie. David non diventa Virginia per evadere da un frangente luttuoso o da una frustazione esistenziale ma per ritrovarsi e perché trae piacere dal sentirsi libero di essere se stesso. Il vero travestimento non è nel personaggio ma nella costruzione della pellicola da parte del regista: gli stereotipi cadono e vengono portati alla luce dai continui colpi di scena e rivelazioni in una mutevole riproduzione del mondo ridotta a sogno ad occhi aperti.
(Mariangela Martelli)
Giovane e Bella, di morte e sesso
Nel cinema di Ozon, sesso, morte ed identità convergono a definire ogni film del regista francese, senza mai addentrarsi troppo nello spettro della psicologia dei protagonisti a noi presentati.
In particolare, in Giovane e Bella, Isabelle, diciassettenne, al ritorno dalle vacanze estive e dopo aver provato per la prima volta il sesso, decide di prostituirsi. Ci chiediamo il perché, se per questioni economiche, gioco o noia ma nessuna di queste risposte sembra trovare una giusta corrispondenza alla realtà presentata.
Isabelle mette in atto un gioco di seduzione, molto più vicino ad una giovane Lolita, consapevole della propria bellezza dell’attrazione nei suoi confronti che hanno gli uomini, di tutte le età, giovani, sposati e anziani. Lei stessa durante le vacanze si accorge che il fratello piccolo la guarda, da lontano, con il binocolo. Lei sdraiata sulla spiazza in topless, senza filtri o veli, veste bene quella situazione. Il fratellino siamo noi, in fondo cosa è il cinema se non voyerismo puro? Ce lo ha insegnato Hitchcock e Ozon ne ha fatto un mantra per la sua filmografia. Lo spettatore spia dal buco della serratura, vediamo tutto di Isabelle ma al contempo non capiamo cosa voglia, cosa la spinge e prostituirsi.
Lei osserva i suoi clienti come la guardano, percepisce il desiderio e si lascia coinvolgere. La sua freddezza arriva a casa, con la madre e il patrigno. Anche nel momento della scoperta dell’attività extrascolastica della ragazza, lei rimane impassibile, fredda, lei ha sempre fatto sesso con indifferenza, non curandosi del piacere dei suoi partner, tantomeno del suo.
Quello del sesso è un approccio così freddo e distaccato che sembra abbracciare il senso di morte del personaggio. Isabelle è una ragazza che è morta dentro, forse distrutta dall’idea di un amore cercato, voluto e non all’altezza, di una ricerca strettamente fisica che non ha portato i suoi frutti e quindi riuscire a incontrarsi con più partner può grattare via quella ruggine di morte nel suo ventre.
Un raggio di rottura si percepisce, giustamente, nelle fasi finali, dalla persona più lontana e imprevedibile per Isabelle. Questa ha un approccio fisico diverso da tutti gli altri personaggi incontrati fino a poco prima, qualcosa che forse lei stessa aveva il bisogno di provare, tra le lacrime di un letto usato per altri scopi.
Il lavoro di sottrazione di Ozon per raccontare la storie è al massimo esponenziale. Lo spettatore curioso non avrà risposte e non si parla mai di ninfomania, desiderio di potere o di soldi. Ci sono eventi, piccole nozioni che possono arricchire il racconto – il già citato fratellino che la osserva, il padre lontano che mensilmente le manda dei soldi o l’eccitazione massima e personale nei momenti di vuoto o isolamento – tutti atti a scandire una personalità non vuota ma unica: Isabelle ama, ma decide di amare a suo modo e gode nell’atto sessuale con le sue disposizioni psicofisiche.
L’incontro finale con la vedova di un suo cliente è da antologia. Discorsi distaccati, la consapevolezza di condividere un dolore, il medesimo, di una giovane e un’anziana, più vicino del previsto che rimanda sempre a quella sensazione di morte che permea la vita grigia di un’adolescente che come tale, sfugge continuamente ad una logica comportamentale di nostra conoscenza eppure ne respiriamo tutta la sua ‘normalità’.
(Gabriele Barducci)
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