
Harmonium di Kōji Fukada, un’impossibile forma di equilibrio
August 17, 2017Prima o poi il passato torna sempre, riemerge come il mostro informe di un incubo per fottere e stravolgere l’equilibrio raggiunto.
Nella vita tranquilla di una famiglia giapponese composta da un marito, una moglie e una figlia ancora piccola e che passa i suoi pomeriggi a suonare l’harmonium (uno strumento musicale simile ad un pianoforte di ridotte dimensioni) tutto procede nella routine più totale: ci sveglia, si prega (madre e figlia sono protestanti), si va a scuola, si lavora nella bottega-garage al piano terra, si mangia frettolosamente insieme e così via. L’assenza di dialogo tra i due sposi, Toshio e Akie, non è il sintomo di un rapporto appagante, ma i due ci si sono abituati e sembrano vivere unicamente per far felice la figlioletta Hotaru.
L’arrivo improvviso di Yasaka (Tadanobu Asano), un amico di Toshio (Kanji Furutachi) frantumerà quella bolla di vetro sotto cui la famiglia ha vissuto fino a quel momento senza possibilità né di tornare indietro né di incollare assieme i pezzi. Il regista giapponese Kōji Fukada riprende alcuni elementi già utilizzati nel suo Hospitalité (2010) e li fa confluire in Harmonium. Anche in questo suo ultimo film, compare una minuscola impresa collocata all’interno dell’abitazione e da cui dipende il fabbisogno dell’intero nucleo familiare, ma il vero riadattamento di un topos già sperimentato in precedenza è un altro: anche quella di Harmonium è la storia di un amico di vecchia data che non si vede da tempo e che torna per pretendere un lavoro e un posto dove stare, richieste che vengono accolte senza titubanza dal padre di famiglia, il quale non solo non fornisce spiegazioni a sua moglie, ma né le chiede cosa ne pensa. Di certezza ne rimane solo una, la spensieratezza da commedia corale di Hospitalité è completamente svanita per lasciar spazio a una tragedia.
Nell’arco di pochissimo tempo, tutto precipita. L’equilibrio precario si spezza e nulla rimane più come prima. Lo spettatore è impossibilitato dal riconoscere un unico protagonista e il personaggio nel quale, umanamente, finisce col riconoscersi è quello di Akie (l’attrice Mariko Tsutsui): disorientata, tenuta all’oscuro di tutto, preda e vittima degli eventi da cui non può sottrarsi.
Come chi guarda il film, Akie scopre terribili verità un frammento alla volta quando ormai il danno è compiuto e la catastrofe è già avvenuta. In Harmonium è tutto così ben congeniato che i meccanismi di vendetta e tradimento non servono solamente a far proseguire la storia; sono ciò di cui i personaggi hanno bisogno per sentirsi ancora vivi, per affermare la loro presenza.
Con sadismo e generosità, chi scrive di cinema non dovrebbe mai fornire tutte le spiegazioni (meglio se solo quelle necessarie) riguardanti un film che il lettore può non aver visto. In caso, deve invogliarlo a recuperarlo o a evitarlo. Almeno ci deve provare. Un po’ come in Harmonium fa il padre di famiglia o, prima ancora, il regista con gli spettatori, svelare la verità (sempre che ciò sia giusto e utile farlo) può essere rimandato ad un futuro lontanissimo. Un luogo nel tempo dove la realtà dei fatti potrà ancora fare male o non importare poi più di tanto.
Presentato nella sezione Un Certain Regard, Harmonium ha vinto il Premio della Giuria alla 69ma edizione del festival di Cannes.
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