Venezia74: No Date, No Signature, l’accecante terrore della verità

Venezia74: No Date, No Signature, l’accecante terrore della verità

September 5, 2017 0 By Angelica Lorenzon

no date no signature posterQuarta giornata alla 76esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia e ci si tuffa nel cinema iraniano con No Date, No Signature (Bedoune Tarikh, Bedoune Emza) di  Vahid Jalilvand che ritorna al Lido in sezione Orizzonti dopo due anni dalla sua opera prima Wednesday May 9, ottimo debutto alla regia.
Kaveh Nariman è un medico legale, meticoloso e preciso nel suo lavoro, che una sera finisce per sbandare con la sua macchina e colpire una motocicletta in corsa. Nariman presta subito soccorso alla famiglia coinvolta nell’incidente ma trova disponibilità al dialogo solo da parte del piccolo di otto anni. Pur consigliando loro di recarsi all’ospedale più vicino per accertamenti, dato che il bambino lamenta dolori alla testa, si rimettono a bordo della moto, non prestando minimamente ascolto all’anatomopatologo. L’indomani Nariman fa una sconvolgente scoperta: all’obitorio ad attenderlo c’è il corpicino privo di vita del bambino soccorso la notte precedente, deceduto apparentemente a causa di una misteriosa intossicazione.
Da quel momento Nariman sarà accecato dal dubbio: è stato lui il responsabile della sua morte oppure il referto dell’autopsia non sbaglia?

Coincidenze e bivi: due elementi presenti nel cinema di Vahid Jalilvand. Come in Wednesday May 9 il protagonista si ritrova sempre davanti ad una strada che si biforca e deve prendere una decisione. E ci sono sempre vita e morte di mezzo. Il fato qualvolta può essere tiranno e metterlo in condizioni spiacevoli, a dura prova col codice morale della sua professione, ma l’istinto di sopravvivenza spesso acceca e sovrasta ogni etica giusta.
Il mondo è piccolo e chi un giorno incontri col sorriso in faccia il giorno dopo potresti non vederlo più ed il regista si diverte ad intrecciare identità e destini, uomini di tutti i giorni, realtà differenti.
La debolezza è vera poiché umana e la si può cogliere dai nervi tesi, le labbra serrate, il sudore freddo sulla fronte, i pugni chiusi che vorrebbero scoppiare. Un uomo come Nariman che nel suo lavoro cerca solo certezze, si ritrova a tremare di fronte alla ricerca della verità, ed il regista con poco indugio esamina quella sua mancanza di coraggio, quell’essere codardo  perché d’altronde con certi peccati dobbiamo conviverci 24 ore su 24 e non c’è possibilità di fuga.

La macchina da presa segue ed indaga sulla psicologia dei personaggi, cogliendone ogni sfumatura, con riprese serrate, una fotografia ricca di contrasti d’ombra, quasi a trasmettere un senso di claustrofobia che è esattamente ciò che il protagonista prova. Seppur ha in attivo solo due pellicole, lo stile registico di Jalilvand si può già facilmente cogliere. Si vede quanto sia affascinato dalla fragile natura degli uomini, ne evidenzia fobie ed incubi, sdoganando ogni loro moralità a cui tanto sono legati. Perché anche l’uomo più colto e composto ha un’oscurità con cui deve confrontarsi e sono le scelte che prendiamo ogni giorno che delineano ciò che siamo all’interno di una società fatta di apparenze futili.

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