
Venezia74: La Villa e la transizione dell’essere
September 6, 2017
“Una risata sull’orlo del baratro ci impedisce di buttarci”
Tra i numerosi film francesi presenti in questa 74ª Edizione del Festival Internazionale del Cinema di Venezia spicca un nuovo prodotto del prolifero regista Robert Guédiguian, che per oltre trent’anni è stato un eccellente capitano per la sua nave, affiancandosi dei migliori porti del panorama cinematografico francese, circondandosi dei migliori attori dal calibro di Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet, Anaïs Demoustier e nuovi mozzi come i giovani Yann Tregouët e Robinson Stévenin .
La Villa è la storia di tre fratelli che in seguito alla malattia del padre, si riunisco, ritrovandosi nella villa di famiglia, situata in un suggestivo borgo a picco sul mare, nelle vicinanze di Marsiglia.
L’arrivo di Angèle, attrice teatrale di fama nazionale, innesca l’avvio dello svolgimento narrativo; a poco a poco avremo modo di scoprire gli attriti presenti tra sorella e due fratelli: Joseph e Armand, fino a svelarci il motivo alla base di una lontananza dalla casa paterna durata vent’anni.
Una trama parallela, ben sviluppata e inserita nel contesto principale, accompagna la narrazione grazie ad un’interconnessione ben congegnata, che coinvolge oltre ad una coppia di anziani e del figlio medico anche il giovane pescatore, anima pura e sognatrice da sempre segretamente innamorato di Angèle.
Il film inizia con una breve introduzione che rappresenta la premessa di avvio allo snodo della vicenda; la sequenza, con una poetica visiva toccante, accompagnata dal dolce cullare delle onde del mare, mostra in dettaglio la mano dell’anziano padre, in un momento brutale, in cui è colpito da ictus. Mentre vediamo la mano allungarsi verso il posacenere, posto sul tavolo, ha inizio un lieve tremolio che colpisce l’arto e si protrae per alcuni secondi; il regista vuole mantenere un certo riserbo nei confronti della malattia, in modo tale che l’uso della macchina da presa risulti non invadete, così da mantenere una certa discrezione nei confronti di questo momento privato e intimo, celandolo agli occhi dello spettatore.
Dal film emerge uno sguardo nostalgico nei confronti del passato e di questo disabitato borgo dove risiedono non più di cinque persone, vittima del progresso e che ha subito migrazioni verso le più grandi città; vengono rievocati, così, i tempi gloriosi attraverso la visione di una realtà ormai lontana nel tempo, quando l’anima del piccolo centro era viva, gioiosa e cordiale. Sono mostrare un susseguirsi di foto, in bianco e nero, leggermente ingiallite dal tempo, inquadrate a macchina fissa e prive di accompagnamento musicale; sono quelle immagini che ricoprono le pareti del ristorante “Le Mange-Toute”. Durante il film ritorna questa stretta connessione con il passato resa attraverso tre flashback, privi di musica extradiegetica, uno per ciascuno fratello; essi ci rivelano due diversi ricordi collettivi, uno negativo che nella resa visiva è dato dalla prevalenza di toni blu e freddi, rispecchiando la tragicità della notte che ha cambiato per sempre la loro vita. Mentre nel secondo ricordo, che sembra un filmino di famiglia, è percepibile la grana visiva unita ad un leggero seppia, rievoca un momento felice della giovinezza dei tre protagonisti, trascorso in allegria e spensieratezza.
Un misterioso arrivo tende a monopolizzare l’intera vicenda sul quale si è ricamato largamente e che rispecchia una panoramica attualissima come la questione dell’immigrazione e degli sbarchi clandestini, senza però politicizzare l’avvenimento. Ritengo forzato il tentativo di focalizzare l’intera vicenda sul misterioso arrivo via mare preannunciato già nella prima metà film; poiché questo film parla di una transizione.
Tutta la vicenda, il rappresenta una mutamento, un momento di paesaggio proprio come quel treno che a intervalli regolari vediamo costeggiare la parete rocciosa a ridosso del mare in un via vai continuo, avanti e indietro, quasi a voler scandire il ritmo della giornata e degli anni, con lo sferragliare ritmato che ricorda quasi il ticchettio di un orologio. Così, come il luogo di ambientazione ha un funzione importante nel rappresentare questa una zona di passaggio, con la sua collocazione strategica, rende al meglio questa transizione che avviene nella vita di tutti i personaggi.
Ma non solo, perché La Villa parla di prendere consapevolezza della propria esistenza sociale e individuale, per giungere ad accettare l’avvicinarsi di una fase della vita, come la senilità grazie alla riscoperta dell’essenziale.
Tuttavia, non può mancare in un film francese, lo spassionato e profondo amore per il teatro che emerge dall’immensa ammirazione e stima che il pescatore Benjamin manifesta nei confronti di Angèle, tanto che lo hanno portato ad imparare a memoria interi testi teatrali.
Come il mare riporta a galla i relitti di barche così i ricordi dolorosi e angoscianti per molto tempo repressi dai vari affanni della vita, ma il tornare alle proprie origini fa riemergere dolorosamente profonde ferite. Tuttavia, questo luogo aiuta i personaggi ad andare avanti con uno sguardo che vuole essere positivo e ottimistico nei confronti dell’avvenire, il tutto resto possibile da un senso di speranza e fiducia.
La Villa è uno sguardo tenero e commovente, con una nota nostalgica, guarda avanti al futuro, verso un nuovo avvenire e da una nuova speranza, proprio come quell’eco liberatorio finale che si propaga nello spazio, in un atto di completo, positivo abbandono.
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