
Venezia74: Mektoub, My Love: Canto Uno e l’ossessione del femminile
September 9, 2017Dal regista di La Vita di Adele, Abdellatif Kechiche ci regala un nuovo imponente prodotto cinematografico della durata di tre ore che non lascia indifferente lo spettatore. Mektoub, My Love: Canto Uno è una romantica e visiva dichiarazione d’amore nei confronti della donna e del corpo femminile che tratta con una sensibilità particolare, quasi voyeuristica.
La trama, priva di avvenimenti rilevanti, tratta di un periodo limitato nel tempo, di circa due settimane; questo frangente circoscritto viene collocato cronologicamente nell’anno 1994, riferimento temporale abbastanza sterile se non per alcuni brevi riferimenti alla guerra del Golfo e alle guerre jugoslave. Infatti, il tempo sembra rimanere sospeso ad un livello di astrazione che copre il periodo delle vacanze estive, in una località di mare tunisina; il film si presenta sotto forma di una sospensione della realtà dove ogni atteggiamento è concesso.
La macchina da presa è presente all’interno dell’azione attraverso una padronanza del movimento originale; è flessibile, dinamica e si sofferma per lunghi istanti sugli attori, cercando di immedesimarci sia con lo sguardo del regista che con quello del protagonista. Abdellatif Kechiche fa un uso della mdp moto intimista nei confronti dei personaggi, aspetto che emerge da campi molto ristretti sui volti o sui dettagli dei corpi attoriali.
Il film assume toni realistici, attraverso intere sequenze che ripropongono i tempi reali dell’azione stessa; questo avviene per le lunghe conversazioni che occupano una porzione non indifferente del film. Lo sguardo della mdp coincide con quello del personaggio di Amin ma non con i suoi sentimenti; infatti, ci identifichiamo con il suo sguardo ma non comprendiamo le proprie intenzione ed emozioni. Amin è un voyeur emerge, aspetto che emerge già dalla prima scena del film quando sbircia di nascosto la scena di sesso tra l’amica d’infanzia Ophélie e il cugino Toni.
“Saggio è colui che ha conservato il cuore di bambino e lo sguardo innocente”, lo stesso che ha Amin verso la realtà che lo circonda, un po’ ingenua e sognatrice.
Inoltre, nella ciclicità e nello scorrere del tempo si ha lo scandire ritmico della narrazione, che attraverso l’alternanza del giorno e della notte crea un continuo divenire di azioni e situazioni che si ripetono. Il tempo riflette un cinema del reale privo di azioni rappresentative ma ricco di momenti appartenenti alla quotidianità.
Lo stile adottato dal regista tunisino Kechiche in Mektoub, My Love: Canto Uno riflette quella caratteristica del cinema dell’attesa che lo accomuna allo stile dello statunitense Richard Linklater.
Il film nella sua monotona lineare indifferenza, mi ha lasciato particolarmente interdetta, faticando ad identificarsi sia con il protagonista che con gli altri personaggi che non coinvolgono empaticamente; inoltre, trovo questo sguardo, quasi feticistico, importuno poiché sembra emergere una strumentalizzazione del corpo femminile davanti alla macchina da presa che appare eccessivamente irruento dovuto al tergiversare continuo sulle parti intime.
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