Venezia74: Hannah, ritratto di una donna frammentata

Venezia74: Hannah, ritratto di una donna frammentata

September 10, 2017 0 By Angelica Lorenzon

Dopo il debutto alla regia nel 2013 con Medeas, il trentino Andrea Pallaoro torna dietro la macchina da presa e presenta in concorso a Venezia74 Hannah, una pellicola emblematica e totalmente incentrata ed incorniciata su Charlotte Rampling. Non è del tutto semplice decifrare questo film che a tratti sembra vantare un puro e semplicistico esercizio di stile, un prodotto girato in 35 mm che però nasconde un’anima profonda. Probabilmente se non fosse stato per l’attrice protagonista, Hannah avrebbe mostrato segni di barcollamento dopo la prima mezz’ora, ma come ha testimoniato Pallaoro questo film è stato scritto sulla figura di Charlotte Rampling, e si vede.

Pallaoro mostra con eleganza una vita che sta andando in frantumi, con una regia cristallina ci presenta il profilo di Hannah, donna settantenne divisa dal marito che si consegna alla giustizia per un reato di cui non conosciamo l’identità. Vergogna, umiliazione, paura, desolazione: questi sono gli ingredienti di Hannah. Il regista lavora di sottrazione, tagliando le scene nel momento esatto in cui la verità sta per esserci svelata. Indugia, gioca, si diverte a creare un puzzle di indizi che conducono lo spettatore ad investigare su ciò che ha davanti. Pallaoro decide di non raffigurare mai nulla nella sua interezza, quanto più a dosare le parole e le immagini, perché il vero fascino è un vestito che lascia intravedere il corpo ma non lo mostra del tutto.

Sulle spalle della Rampling, l’intero film, il primo di una serie incentrati sulla femminilità, a detta del regista stesso. Hannah pare sospeso in un limbo di silenzi, in una contemplazione che prende vigore nei momenti in cui la protagonista fa visita al marito in prigione. È scossa, divisa dall’amore e dal disonore che il suo gesto ha comportato alla famiglia. Come nel più raffinato cinema di Wong Kar-wai, Hannah viene inquadrata attraverso tende, specchi, finestre, come a volerne frammentare la sua identità, come a voler evidenziare i suoi dissidi interiori. Gli oggetti di scena costituiscono un ingombro alla sua presenza, un ostacolo alla sua libertà.

Per quanto il regista si ispiri a figure degne di nota come Haneke, Antonioni ed Akerman, questi grandi nomi non li ritroviamo in Hannah, che forse vanta nel suo studio fin troppo pianificato la sua più grande (ed unica) pecca.

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