
Venezia74: Los versos del olvido: quando il ricordo lascia una traccia
September 10, 2017Pomeriggio in sala Darsena per la proiezione de Los versos del olvido (nella sezione Orizzonti) del regista iraniano Alireza Khatami.
Fin dalla prima scena intuiamo il mondo che ruota intorno all’anziano protagonista (interpretato da Juan Margallo, attore teatrale con quasi 60 anni di carriera sul palcoscenico e qui nel suo primo ruolo su grande schermo): intrattiene una conversazione con il suo amico becchino, che non vediamo, perché dentro la fossa che sta scavando.
Un dialogo shakespeariano che ritroveremo nel corso della pellicola, a tratti più filosofico altri contornato di black humor. Seguiamo la giornata dell’anziano custode dell’obitorio, tra indicazioni date a persone perse nei cimiteri e il prendersi cura dei morti emerge la sua solitudine (scelta forse volontariamente) e la sua caratteristica paradossale: ricorda infatti cifre, lettere scritte anni prima e dettagli con grande lucidità mentre per quanto riguarda il riportare alla memoria nomi delle persone decedute rimane un’impresa avvolta dall’oblio. I morti che riposano sulla collina del paesino cileno sono così senza storia, come le troppe vittime della guerra civile al tempo di Pinochet.
Diversi personaggi compaiono tra le righe di questi “versi dimenticati”: dalle foto in bianco e nero all’anziana signora per arrivare al corpo di una giovane donna, che giace all’obitorio senza che qualcuno lo abbia reclamato. Il realismo della quotidianità del protagonista trova degli improvvisi lampi onirici, come quando cade la pioggia dentro all’ufficio o sente il lamento di una balena affacciandosi alla finestra. Allo stesso modo la propria storia carica di ricordi dolorosi (che forse è meglio dimenticare), si intreccia con quella del suo paese: il Cile.
Los versos del olvido vanta di una fotografia preziosa ed evocatica, dove i fermi immagini si soffermano con naturalezza su dei particolari: le mele che rotolano sull’asfalto dopo essere cadute da una borsa bucata come una candela accesa dopo il temporale, un orecchino trovato per terra o un bicchiere d’acqua dopo il terremoto. Una pellicola che cerca di ricostruire le vicende vissute e gli eventi presenti che aleggiano attorno al protagonista, mettendolo nelle condizioni di non dimenticare e di non perdersi nell’archivio confuso della memoria: come quando tra gli scaffali della biblioteca porta con sè il filo d’Arianna. Legame che una volta esaurito, gli rammenterà il ritorno, mentre la radio annuncia lo spiaggiamento delle balene: il dolore provato da questi abitanti dell’oceano per la perdita dei compagni li accomuna a ciò che sentono gli umani nei confronti dei loro cari scomparsi.
Al termine del film è seguito l’incontro con gli autori (il regista, il protagonista e direttore alla fotografia) che hanno raccontato le fasi di creazione del film e risposto ad alcune domande da parte del pubblico. Il regista Alireza Khatami (classe 1980) ha motivato la scelta di ambientare il suo primo lungometraggio in Cile in quanto è stato “adottato” da questo popolo generoso che lo ha ospitato e gli ha permesso di portargli una storia da raccontare.
L’ispirazione è nata da un evento della sua vita: cresciuto durante la guerra tra Iran-Iraq ha voluto con la sua opera ricordare i troppi soldati dispersi. Il tema dei corpi scomparsi è presente in ogni parte del mondo come nella finzione del film ed instaura un legame con coloro che rimangono, rendendoli custodi della memoria. Il ricordo, come atto estremo di resistenza, trova espressione nell’arte: nonostante i film non cambino il mondo, possono aiutare a riflettere sugli orrori della storia.
La ripetizione risiede nel cuore del cinema: rivivere gli eventi diventa un modo per superarli.
QUI potete trovare, inoltre, la nostra intervista al regista.
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