Venezia74: Ha’edut, The Testament, i limiti della verità.

Venezia74: Ha’edut, The Testament, i limiti della verità.

September 12, 2017 0 By Mariangela Martelli

Ha’edut: the testament è la pellicola del regista Amichai Greenberg presentata nella sezione Orizzonti alla 74edizione del Festival di Venezia.
Il protagonista Yoel (Ori Pfeffer) è uno storico che sta portando avanti delle ricerche riguardo la Shoah da quindici anni, ricostruendo i tasselli mancanti sugli stermini di ebrei in Ungheria ed Austria ad opere dei nazisti.
Arrivato a conoscenza, tramite alcuni documenti, dell’omicidio di 200 ebrei durante la seconda guerra mondiale nel paesino austriaco di Lendsdorf, dovrà riportare alla luce la verità celata dai negazionisti al potere con cui nel frattempo si è aperta una causa internazionale. Yoel, che come il regista (e altri del cast) appartiene alla seconda generazione di sopravvissuti all’olocausto, ha ascoltato fin da piccolo i racconti dei parenti scampati all’orrore diventando così uno dei tanti custodi della memoria. Il film mostra i limiti della verità, fondamentali per capire a livello profondo chi siamo.
L’entità del protagonista è scissa in due, la doppia investigazione che dovrà condurre si specchia a sua volta nella sua natura: dare un nome ai fatti diventa la base per trovare una risposta alle domande che si accavalleranno nel corso della pellicola.
Il tema dell’identità è intuibile fin dalle prime scene in cui Yoel ci viene presentato visivamente come uomo religioso (professa la fede ebraica) e come intellettuale (entra nell’istituto di ricerca dove lavora e viene intervistato da una televisione tedesca). Tiene però separata la ricerca oggettiva della verità assoluta della Storia dalla soggettività delle vicende personali: il ricordo dei genitori sopravvissuti alla Shoah non si coinvolgerà emotivamente con il lavoro che sta svolgendo. Neanche quando le interviste dei testimoni, rinvenute in archivio, lo porteranno a riconsiderare le proprie origini.

the testament venezia 74

Interessante vedere come la fotografia di molte scene si sviluppi in orizzontale: sia gli interni (la biblioteca, la cucina) che gli esterni (il ponte, le file degli alberi, le facciate degli edifici) sono una successione di oggetti del presente, collegati al passato attraverso questa ipotetica linea del tempo/ visiva. La cronologia interseca alla narrazione anche le esistenze di altri personaggi, come l’anziano ebreo riuscito a scappare dall’incubo vissuto quella notte del ’45 a Lendsdorf portandosi con sè un quaderno di preghiere appuntate dai suoi compagni. Pagine che hanno dato la speranza a lui prima e che adesso, cambiando custode, possono rivelarsi preziose per le ricerche di Yoel. Difficile trovare le testimonianze che hanno cambiato il proprio nome, come mantenersi forti delle proprie idee quando tutto intorno vacilla. Sia il rapporto del protagonista con la madre che quello con il figlio trovano una loro evoluzione, posizionandosi in modo diverso rispetto al passato in una messa in discussione continua sulle proprie radici. Radici che prendono forma nella bellissima immagine di Yoel in mezzo ad un crocevia scavato nella terra, una sorta di trincea/labirinto che lo porrà davanti ad una scelta: credere o meno a ciò che dava per scontato e che ha visto plasmarsi proseguendo nelle ricerche.
La via originaria che portava alla verità dei fatti è stata cancellata e ricostruita poco distante, come segnano le “x” sulla cartina. La struttura della pellicola è quella tipica del thriller, a cui il regista Amichai non aveva pensato mentre iniziava a scrivere la sceneggiatura ma che ha visto svilupparsi spontaneamente in corso d’opera. L’effetto finale delle domande esistenziali poste in un primo momento, trovano soluzione poco a poco, lasciando scoprire al protagonista (come allo spettatore) ciò che accade.Yoel andando al di là della propria identità, riesce a sciogliere i nodi personali ma anche a rendere Ha’edut – The testament non un film sulla Shoah ma su ciò che sta al cuore delle scelte di coloro che sono sopravvissuti (e delle seconde generazione), arrivando in questo modo a celebrare chi ha scelto la vita senza negare il proprio passato.

Mariangela Martelli