Venezia74: Tuers, un noir di debole identità

Venezia74: Tuers, un noir di debole identità

September 12, 2017 0 By Angelo Armandi

Tueurs (in italiano “Assassini”), film in Concorso per la Sezione Cinema nel Giardino alla 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Opera belga dei registi Francois Troukens (anche sceneggiatore) e Jean-Francois Hensgens. Un noir dalle declinazioni hard boiled che ruota attorno ad una banda di rapinatori, capitanati da Frank Valken (Olivier Gourmet), accusati di aver commesso, nel corso della loro ultima rapina, degli omicidi sullo stampo di stragi commesse trent’anni prima da un’altra banda, definita “folli assassini”. Vengono pertanto ritenuti parte del gruppo terroristico del passato, ed è questo il pretesto per concludere, all’apparenza in maniera del tutto pulita, un’indagine aperta da troppo tempo.

Un noir dalla struttura perfetta, improntato sul fascino suburbano della notte, sulla colonna sonora che rimbomba negli anfratti underground, illuminati da luci spettrali, inumane. La tensione narrativa e la crudeltà mantengono l’opera compatta, circoscritta ad un intreccio investigativo dal ritmo cadenzato in un climax adrenalinico, quasi un Killing them softly europeo, pacato e spietato al tempo stesso.
L’intrusione della politica allarga lo scenario, lo problematizza, gli conferisce una complessità che era propria di Cadaveri Eccellenti, illudendo con la promessa di una costruzione più incisiva, potente, coraggiosa, del marciume. Tuttavia, nel corso della visione, alla sequela di violenza efferata si associa una banalità nella gestione del tema politico di fondo, la matrice bollente che avrebbe infiammato l’opera: lo Stato, nel perseguire i propri obiettivi talvolta inafferrabili, mette in moto qualsiasi mezzo, persino il terrorismo, per ripristinare l’ordine e avere il consenso all’emanazione di norme più repressive.

tuers venezia 74

Quest’ambito, così scottante e così magistralmente affrontato nel cinema, tra cui le opere sopra citate, viene ridotto, in Tueurs, ad un didascalismo banale, talvolta infantile e frettoloso, come se i registi non avessero voluto osare abbastanza, o non avessero compreso in pieno le potenzialità della materia. Non appaiono elementi di originalità, né un approccio ideologico, né (e forse sarebbe stato preferibile), un alone di mistero attorno alle istituzioni che, come burattinai, tengono le fila dell’ordine sociale.

I criminali ci sono, vengono smascherati dopo una iniziale suspense, vengono anzi puniti, nessuno escluso, al punto da ritenere che il fenomeno della corruzione sociopolitica fosse circoscritto alle poche pedine che si alternano nelle inquadrature, al punto da fingere che sia stata fatta giustizia. Quest’approccio grossolano sminuisce ogni potente premessa dell’opera, e l’architettura noir, che pareva dotata di una solida identità, si intiepidisce, lasciando spazio alla delusione per un’occasione mancata.

Angelo Armandi