
Leatherface, alle origini della follia del male
September 16, 2017Non aprite quella porta è stato un film horror a basso costo che nel 1974 provocò un forte turbamento negli spettatori. Il film, che tutti hanno sicuramente visto e quindi ometteremo trama e tutto il resto, oltre a cambiare per sempre il genere horror, riuscì a superare i limiti stessi del terrore. L’idea per quanto semplice, ma efficace, di un mostro quale Faccia di Cuoio (appunto Leatherface) uccidesse con oggetti di ordinaria amministrazione, risultò vincente tanto che ancora oggi, il film di Tobe Hooper, scomparso lo scorso 26 agosto, è considerato uno dei capisaldi del genere.
Tra sequel e remake, ogni tanto si scende nel bisogno di raccontare le origini di qualche mostro o killer iconico del cinema. E’ successo con quel Hannibal Lecter – Le origini del male che risultò in teoria affascinante, ma nella resa, un totale disastro e quindi una certa reticenza a vedere questo Leatherface, che nel dettaglio ci racconta del percorso che porta un bambino a diventare il più conosciuto Faccia di Cuoio, era inevitabile, ma usciti siamo usciti dalla proiezione stampa visivamente soddisfatti.
Non tanto per una trama articolata o raffinata – anche se non mancano almeno due giochi narrativi che depistano lo spettatore con grande efficacia – quanto l’opera e il tocco puramente europeo a rendere un film di origini non più banale, ma interessante.
Girato interamente in Bulgaria e con registi francesi, pur mantenendo lingua e attori statunitensi, il film è stato fortemente voluto dallo stesso Hooper, tanto da produrlo. Si può pensare subito alla necessità di fare soldi, ma perché quindi chiudersi in un prodotto potenzialmente derivativo e criticato dai puristi del genere come ‘immondizia’?
Il genere horror oggi, purtroppo, pullula di centinaia di pellicole una più brutta dell’altra. Leatherface invece si dimostra essere quel prodotto di serie B (se non C) realizzato con cura e con un’idea, anche banale ma forte nella sua morale, che viene seguita passo passo, portando nelle sale un film piacevolmente riuscito.Certo, il genere, l’abbandono all’horror puro per regalarsi più momenti splatter o slasher, allontana il film alla mitologia di Non aprite quella porta, ma è una scelta coraggiosa che viene affrontata con la consapevolezza di toccare qualcosa di iconico per cinefili, addetti ai lavori e per la Storia del Cinema stessa.
Quindi si vira alla consapevolezza di quello che può essere il male e il bene per un bambino che cresce nella violenza di una famiglia cannibale e relativa evoluzione di questa psiche chiaramente disturbata.
Da cosa può scaturire quella scintilla che ti porta a decidere di optare per il male inconscio e disturbante? Il film in parte si prefigge di raccontarci questo, come non, perché l’aspetto affascinante di questo tipo di opere, come quello di mantenere alto l’interesse per film del genere, è quello di raccontarci solo una porzione di origin story e non andare troppo nello specifico: vediamo qualche piccola sfumatura – prettamente psichica – del giovane Leatherface, ma il motivo che lo porta a scegliere il male invece del bene, rimane lì, chiuso in quella casa, tra carne umana e sangue.
Punto a favore di questa piccola sorpresa sono gli attori che hanno le facce giuste. Concetto anacronistico, che deriva da uno star system che oggi non funziona quasi più (vedi Passengers), ma ogni attore è esattamente perfetto per il ruolo scritto, dalla psicopatica che fa sesso con accanto un cadavere, eccitandosi per ciò (scena spettacolare) alla bella e brava infermierina che si trova catapultata in un’avventura fuori di testa che non comprende.
Leatherface è una piccola sorpresa cinematografica, un film pieno di cuore e tecnica
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