
Tre manifesti da Vero Cinema: una riflessione sulle locandine scartate di The Exorcist, The Handmaiden e Venus in Fur
September 29, 2017La 20th Century Fox, per correre ai ripari dopo la pioggia di critiche e salvare il salvabile al box office, ha deciso di raccogliere alcuni dei giudizi positivi e negativi dati dalle maggiori testate internazionali su Mother! di Darren Aronofsky e di crearci un poster. Il viso di Jennifer Lawrence è diviso in due, un lato mostra un volto normale e l’altro i segni di un brutale pestaggio. È uno spoiler, ma non importa. Tutte attorno, siffatte dichiarazioni della stampa. Manca la più importante, quella di Fabrizio Ciavoni, l’eroe del web-universe dei cinefili italiani, su CorriereTV, ma non importa (in realtà, pensandoci bene, sì). Ad ogni modo, quella di realizzare locandine cinematografiche è un’arte e ogni occasione è buona per sfruttare le tendenze del momento al fine di pubblicizzare il proprio film.
Questo articolo, per concludere questo pippozzo introduttivo, nasce dall’esigenza di ripescare tre artwork di altrettante grandi pellicole, inspiegabilmente scartati, inutilizzati e gettati in quel dimenticatoio chiamato Internet da dove, però, si può ripescare l’impensabile e ricamarci un discorso attorno. Ecco cosa collega William Friedkin a Roman Polanski passando per Park Chan-wook e i loro The Exorcist, The Handmaiden e Venus in Fur. Innocenza, peccato, sottomissione.
1. The Exorcist (1973)
Una delle locandine scartate per L’Esorcista mostra la foto incorniciata di una sorridente Regan (l’attrice Linda Blair). Lo sfondo bianco rimanda all’idea di purezza e d’innocenza di un’adolescente cresciuta in un ambiente domestico fatto di routine scolastiche, amore materno e divertimento. Se una persona non conoscesse il film (o il romanzo di Blatty) potrebbe anche pensare che si tratti di una commediola di serie B uscita da qualche mediocre studiolo hollywoodiano.
Prestando una maggiore attenzione al poster, si notano due scritte chiarificatrici. La prima, This is Regan …, in nero, il colore del male e della morte, come a voler suggerire all’osservatore che -in tutto quel virgineo candore- c’è qualcosa di profondamente oscuro che si è annidato nell’animo (e nel corpo) della ragazzina protagonista. La seconda scritta, in viola, come il colore della stola liturgica indossata da Padre Merrin, interpretato da Max von Sydow, recita Deliver her from evil (“Liberala dal male”). L’ultimo rimasuglio d’incontaminatezza viene spazzato via con quattro parole, a mo’ di preghiera: Satana è dentro Regan e la povera fanciulla dev’essere salvata. Il dualismo buio e luce, alla base de L’Esorcista e di tutta la filmografia di William Friedkin (da notare il titolo, nell’edizione italiana, dell’autobiografia del regista), è già pienamente presente in questa inutilizzata locandina.
Più in basso, compare il titolo del film. I caratteri (dai tratti tutt’altro che minacciosi, paiono quelli della società produttrice di giocattoli Hasbro, di cui la protagonista del film fa uso del materiale Play-Doh per modellare figure di animali) che compongono la scritta The Exorcist sono di un rasserenante blu chiaro. Non c’è alcun diretto tentativo di terrorizzare o minacciare chi sta guardando l’artwork nonostante si evochi un rituale doloroso volto ad allontanare il Male da qualcuno.
Alla luce di tutti questi elementi cromatici, in contrasto tra ciò che mostrano e quel che rappresentano, si può intuire il motivo per cui questo poster non è stato utilizzato per pubblicizzare il film. Paradossalmente o meno, non era abbastanza inquietante. Più di quarant’anni dopo, dopo che L’Esorcista è diventato patrimonio della cinematografia mondiale e costante fonte d’ispirazione, il gioco subliminale rappresentato da una fotografia, quattro colori e tre scritte conferma ancora oggi quanto mistero si celi dietro ad una pellicola come questa.
La locandina ufficiale, bisogna dirlo, è stata una scelta perfetta. Padre Merrin è fuori dalla casa dove avverrà la liberazione di Regan dal male. L’esorcista che dà il titolo al film è mostrato di spalle, valigia in mano, di fianco ad un lampione ed è investito da una luce intensa proveniente dall’abitazione. Un pezzo di ringhiera, il selciato, una colonna, le tenebre tutte attorno. Non c’è niente altro, ma tutto è già molto suggestivo così. È un fotogramma del film, proveniente da una scena visivamente ispirata da un dipinto di René Magritte intitolato Empire of Light II (1950), che nel 1972 William Friedkin ha modo di vedere al MoMA di New York mentre sta preparando il suo The Exorcist.
2. The Handmaiden (2016)
Quanti significati sono nascosti anche nel poster scartato per l’ultimo film di Park Chan-wook, The Handmaiden. Occorre partire da ciò che viene raffigurato: un serpente in movimento e con le fauci spalancate. Osservando meglio si scoprirà che le sue squame formano dei disegni stilizzati di una gamba, dei seni, dei sederi, e che la stessa testa del rettile mostra un volto bidimensionale diviso in due.
Un film che racconta una storia di amore saffico, oltre ogni convenzione e imposizione, ma anche una straordinaria narrazione sulla rinuncia di un’identità e sul conflitto tra l’apparire e l’esistere. Nulla è come sembra in The Handmaiden e lo stesso poster, non utilizzato a favore di uno meno simbolico ed esteticamente più bello allo stesso tempo, può rivelare verità diverse a seconda di come lo si guardi.
In The Handmaiden sono presenti molti riferimenti allusivi ed elementi scenografici al mondo dell’ofiologia: la corda (probabilmente quella dell’impiccagione) dentro la scatola per cappelli, i laccetti dei corpetti, i metal beads (strumento di tortura e piacere a seconda del suo utilizzo), la statuetta di un cobra a limitare l’accesso alla libreria (e quindi, al sapere), ma soprattutto viene rimarcato quanto le cospirazioni compiute vicendevolmente alle spalle dei protagonisti siano accumunabili, metaforicamente, ai morsi di un serpente i cui denti avvelenati e insanguinati (come mostrato nella locandina) possono uccidere, non solo ferire.
A voler estendere su un piano psicologico la simbologia di questo rettile, è immediata l’immagine di un pene. Anche in questa accezione, l’immagine si presta ad un’interpretazione evidente: tutto The Handmaiden gira attorno all’idea della sconfitta e di un desiderio di distruzione di una società patriarcale nella quale le donne vengono oppresse per mano degli uomini che hanno potere (legale, sociale, economico) su di loro. L’evirazione maschile, sia essa figurata o letteralmente scampata all’ultimo minuto, è uno dei temi principali di tutto il film di Park Chan-wook. La critica maggiormente rivolta dalle due protagonisti femminili agli uomini (intesi come genere) è di essere dotati, secondo loro, “di una mente sola”, costantemente concentrata a pensare al sesso. Il film fa di questa constatazione la chiave di volta per unire tutti i fili narrativi: in sinergia, le amanti progettano insieme un piano di rivalsa e distintamente lo raggiungono. Due menti separate che all’occorrenza si uniscono, una sola identità congiunta e raggiunta dal complottare insieme. Ancora una volta, tutte queste elucubrazioni sono già racchiuse nel poster.
3. Venere in pelliccia (2013)
È la stessa Emanuelle Seigner, protagonista e moglie di Roman Polanski, a esprimere pubblicamente -in un post su Instagram del 4 agosto 2015- il suo dispiacere per non aver potuto vedere questa locandina accompagnare l’uscita del film nelle sale. I produttori e i distributori, forse a ragione o forse no, hanno preferito un artwork molto più minimale per il mercato europeo: una scarpa con tacco che schiaccia e frantuma un paio d’occhiali. Ugualmente suggestivi, questo bisogna riconoscerlo, ma non arricchiti entrambi di una stessa dose di sensualità (da notare la L che diventa un frustino in quello inutilizzato), i poster de La Vénus à la Fourrure – Venere in pelliccia hanno l’indubbio merito di mettere subito in chiaro ciò di cui trattano: il potere della Donna sull’Uomo.
A tal proposito, dando invece uno sguardo alla locandina per il mercato americano, si noterà il tentativo di un medesimo approccio, ma (ovviamente) il non raggiungimento di un simile risultato. Da uno sfondo nero come la notte emergono due gambe in calze a rete (probabilmente neanche della Seigner) e un collare. Curioso come negli Stati Uniti, dove Polanski è considerato uno dei nemici numero uno della Giustizia, Venus in Fur abbia non solo ricevuto una distribuzione col contagocce (pochissime, ai tempi, le sale disposte a proiettarlo), ma lo stesso poster voglia suggerire a tutti i costi perversione, degenero e oscenità, tutte caratteristiche con cui il regista polacco è stato etichettato nell’arco degli ultimi quattro decenni.
Disonestà nei confronti dell’artista? Voglia di gettare altre ombre sull’uomo riducendo il film ad un semplice specchio della sua depravazione? Che sia una cosa o l’altra, questo significa comunque non aver compreso l’intento di Venere in pelliccia: celebrare la Donna ed accettare il suo potere. Pertanto, forse solo la locandina scartata, in cui la Seigner sembra da un lato essere uscita direttamente da La Nona Porta e dall’altro sembra fondersi con i tratti somatici di Catherine Deneuve in Repulsion, rende giustizia alla visione di Roman Polanski nel dipingere la figura di una donna eterea, benevola e crudele, musa e dea, senza sottolineare alcuno di questi elementi.
Based on a True Story, il nuovo film del regista, tratto dall’omonimo romanzo di Delphine de Vigan, racconta di una torbida relazione omossessuale tra una scrittrice (ancora Emmanuelle Seigner) e una sua ossessionata ammiratrice (Eva Green). Questa volta, forse a voler scongiurare la circolazione di più locandine diverse tra loro, si è optato per due mani che, unite insieme attorno ad una penna, scrivono col sangue. Aspetto visivo e simbolico viaggiano perfettamente allineati. A tal proposito, se ne riparlerà nei prossimi mesi.
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