
Tin Star, un film lungo una stagione
October 17, 2017«Io non sono un poliziotto in realtà, sono più un criminale autorizzato dallo Stato a catturarne altri.»
Il poliziotto londinese Jim Worth si è trasferito con la moglie e i due figli in una piccola città in Canada dove ha assunto la qualifica di sceriffo. Motivo di un cambiamento così drastico la sua personale battaglia per rimanere sobrio dopo un passato da alcolista e uomo violento. La nuova vita della famiglia Worth potrebbe rivelarsi molto piacevole e le mansioni di Jim come custode dell’ordine cittadino sono piuttosto ridotte, ma nel momento in cui la compagnia petrolifera North Stream Oil arriva in città per aprire una importante sede l’equilibrio della piccola comunità è in serio pericolo. Una nuova ondata di crimine legata a interessi economici coinvolge molti membri della comunità e allo stesso tempo alcune vecchie conoscenze di Jim, legate alla sua precedente e travagliata esistenza londinese, riemergono dal passato.
La storia c’è ed è di quelle che catturano subito l’interesse. Le ambientazioni, un principio di inverno canadese tra fiumi e corsi d’acqua, è da levare il fiato. Un gigante del cinema come Tim Roth (The Hateful Eight, Chronic) si concede anima e corpo al ruolo di un uomo spezzato tra la disperata ricerca rettitudine morale e il vizio. Si aggiunge un cast notevole, composto per la maggior parte da volti ancora poco noti ma dei quali è fuor di dubbio che sentiremo parlare.
Cosa è allora che non va nella prima stagione di Tin Star, serie in 10 puntate prodotta dalla Kudos Film and Television e trasmessa in Italia su Sky Atlantic dal mese di settembre? La risposta sta nella sua stessa natura di soggetto seriale televisivo.
Una storia che, limata da lunghi e fin troppo insistiti travagli interiori, da un certo quantitativo di personaggi poco funzionali alla sua economia e da dialoghi non sempre memorabili tra i protagonisti principali, e diretta da una regia cinematografica attenta avrebbe più di un numero da giocarsi per diventare un grande film, di quelli che segnano un’epoca. Immaginiamo solo cosa avrebbero potuto trarre da un simile plot, che è anche una moderna rilettura del Dottor Jekill e Mr Hyde con in più una riflessione sul senso di colpa e sull’ineluttabilità di certi destini, autori come ad esempio Atom Egoyan, Denis Villeneuve o i fratelli Coen.
La descrizione della complessa dinamica familiare ne sarebbe sicuramente uscita più compatta e meno “annacquata” da frasi ad effetto e repentini cambi di umore come quelli di Angela, moglie di Jim, che passa in poche sequenze dall’essere disgustata dal lato oscuro del marito fino al divenirne sedotta istigatrice o da storyline meno avvincenti come quelle legate alla condotta criminale della compagnia petrolifera.
Malgrado qualche sfilacciatura creata dalla dilatazione dei tempi televisivi, Tin Star, della quale è già stata confermata una seconda stagione, mantiene un profilo molto alto e ha uno dei maggiori punti di forza in un cast formato impeccabilmente a cui al già citato, e sempre formidabile, Tim Roth si aggiungono una affascinante Christina Hendricks forse un po’ sottotono rispetto ai fasti di Mad Men e la giovanissima e fenomenale Abigail Lawrie (The Casual Vacancy) nel ruolo di Anna Worth.
È però nella scrittura dei villain che l’ideatore della seire Rowan Joffe, figlio del più celebre Roland ma già sceneggiatore di 28 settimane dopo e The American, ha centrato sicuramente il bersaglio. Lo spettrale Louis Gagnon, capo della sicurezza della North Stream Oil interpretato dall’ottimo attore candese Christopher Heyerdahl, pur collocandosi un po’ fuori dal nucleo centrale della vicenda, è capace di far gelare il sangue nelle vene incarnando il male assoluto che talvolta è il vero volto dei poteri forti, mentre il giovane interprete inglese Oliver Coopersmith nel ruolo di Whitey Brown offre una performance indimenticabile. Il bambino ferito divenuto adulto spezzato, in cui convivono spietatezza e paura, furia cieca e vulnerabilità. Il personaggio in cui forse più che in chiunque altro le luci e le ombre sono più marcate, la vera vittima ma anche il primo e più scellerato carnefici. Una figura dalla tragicità monumentale.
Sono le suggestive musiche composte da Adrian Corker e le fredde luci create da Dale McCready e Paul Sarossy (autore tra l’altro della fotografia de Il dolce domani di Atom Egoyan ) che sembrano immergere la storia in un gelido mattino invernale senza fine, a completare un prodotto televisivo che, se forse poteva avere una diversa e più incisiva storia cinematografica, fa comunque onore al suo genere.
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