
Il favoloso mondo di Amélie allo specchio
November 20, 2017Nel 2001 esce Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet. La protagonista rimasta orfana di madre si ritrova a tu per tu con il padre che, suo malgrado, si rinchiude in un proprio mondo lasciando la bambina pressoché da sola. Passa il tempo e Amélie è ormai una ragazza indipendente; la sua vita scorre piacevolmente quando a un tratto, assistendo in TV alla morte di Lady Diana, tutto è sconvolto.
Amélie e lo psicoanalista Jacques Lacan hanno in comune, a parte la nazionalità, la tematica dello specchio. Per lo studioso, infatti, questa pratica è prerogativa dell’uomo e il guardarsi allo specchio significa affrontare il problema della costruzione della nostra identità; fattore che ci permette di “agire e di non essere agiti”.
Lo studioso parla di come questa caratteristica umana passi per tre fasi. La prima prevede, nel bambino, l’identificare l’immagine di se stesso riflesso, come fosse quella di uno sconosciuto. Quest’immagine, successivamente, sarà riconosciuta ma trattata solo come tale. Nella terza e, ultima fase, il bambino giungerà a riconoscere l’altro come immagine riflessa.
L’infanzia della protagonista era trascorsa, almeno sotto il profilo interiore, senza che nessuno dei suoi genitori la guardasse. L’unico rapporto con il padre era la visita medica mensile per una sospetta anomalia al cuore, ma sarebbe bastato che l’avesse guardata meglio per capire che, quel batticuore, era solo frutto della tanta emozione. Anche la relazione con la madre era particolare; si noti come la donna, una severa insegnante, non si accorgesse di avere di fronte una bambina sensibile, curiosa e molto intelligente. Questi “non sguardi” proseguono anche nell’età adulta: nel caffè dove lavora, nella metropolitana, a Montmartre e nel suo stesso appartamento. Nel locale dove lavora, in mezzo a strani personaggi, la protagonista svolge la sua attività totalmente ignorata da tutti. Esemplificativo è quando Amélie va a trovare il padre che, completamente straniato, ignora ciò che lei dice e quando sembra che la stia guardando, i suoi sguardi si rivelano invece persi nel nulla. Altro aspetto che colpisce della vita della giovane ragazza, oltre a non essere guardata da terzi, è quello di non voler farsi vedere da nessuno. In realtà da qualcuno si fa guardare: siamo proprio noi spettatori a scorgere Amélie grazie ai numerosi sguardi e ammiccamenti da lei rivolti alla macchina da presa ma, allo stesso tempo, la protagonista pare ancora non “guardarsi” allo specchio.
Grazie al ritrovamento di una scatola di latta, contenete i ricordi di un bambino, lei decide di riconsegnarli al legittimo proprietario badando bene, ancora una volta, a non farsi scorgere. Da qui inizia la sua trasformazione: vedersi con occhi non suoi che le provocano un cambiamento collegato a un sentimento di felicità. Comincia ora a scrutare gli altri, talvolta anche spiandoli, per scoprire come poter esser loro d’aiuto compiendo gesti che le permetteranno di “vedersi senza essere vista”; esemplificativa è la passeggiata con il mendicante non vedente.
Step successivo sarà dato dal rapporto che Amélie instaura con “l’uomo di vetro” Raymond. Questo consentirà alla ragazza di essere vista, ma solo indirettamente. Nel corso del film i due si dilungano in chiacchierate davanti al dipinto rappresentante la ragazza con il bicchiere d’acqua nel quadro La colazione dei Canottieri di P. A. Renoir, che non è altro che lo stesso alter-ego della protagonista.
Il rapporto con il vedersi prosegue quando Amélie si innamora. La ragazza passeggiando per la metropolitana ritrova un album di fototessere appartenenti a Nino. La giovane se ne innamora e, grazie a un abile stratagemma restituisce l’album al proprietario, ma senza essere vista. Con grande maestria riesce a creare in Nino la curiosità di conoscerla ma, ancora una volta, per non farsi vedere decide di mostrarsi sì, ma travestita da Zorro. Nuovamente quindi non supera la paura di farsi guardare e a un appuntamento con il ragazzo, arriverà persino a negare la sua stessa identità.
Bisognerà aspettare la fine del film perché Amélie arrivi a scorgersi allo specchio vedendosi così com’è in quell’esatto momento, seppur delusa, amareggiata e triste. È la prima volta che scorgiamo Amélie guardarsi allo specchio. Il cambiamento è favorito, ancora una volta, da Raymond che, senza travestimenti, trucchi o stratagemmi, parla con chiarezza alla ragazza invitandola a lasciarsi andare; così la ragazza si lascia guardare da Nino. Amélie arriverà quindi a compiere un percorso che l’ha portata a un punto di partenza davvero importante e cioè a vedere finalmente se stessa.
Come il bambino anche Amélie sarà ora in grado di far corrispondere la propria immagine a quella del proprio corpo; arrivando ad acquisire un’immagine di sé unitaria e definita. Nelle ultime battute del film la protagonista, specchiandosi per la prima volta, riconosce se stessa separata dagli altri e di conseguenza può prendere consapevolezza di sé.
L’identificazione primaria che, secondo Jacques Lacan, caratterizza il bambino di fronte alla propria immagine riflessa, è la base di tutte le altre identificazioni che l’individuo potrà avviare nel corso della vita. Come nel bambino l’identificazione con sé stesso e con un suo duplicato gli permettono di riconoscersi per giungere alla costituzione del proprio Io, così avviene per Amélie.
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