
TFF35: La Cina è vicina nel distopico Seven Sisters
November 27, 20172073, pianeta Terra. Il mondo ha superato da un pezzo la soglia di non ritorno: il cibo scarseggia, l’acqua pure, ci si ciba di ratti, le strade delle metropoli sono affollate a tal punto che quasi non si cammina, i governi internazionali si sono uniti per fronteggiare le problematiche generali (in primis, quella legata al sovrappopolamento). Come in Cina, le famiglie possono avere per legge un solo figlio e ogni atto di disobbedienza in tal senso viene punito. Nel frattempo, sette sorelle gemelle, nascoste dalla nascita all’interno di un ampio appartamento, sono diventate trentenni all’oscuro di tutti grazie al nonno Terrence (Willem Dafoe). L’equilibrio, sociale e genetico, non è destinato a durare a lungo.
Seven Sisters, originariamente con il titolo alternativo di What Happened to Monday, è un buon esempio di fantascienza a medio budget dove la storia si dipana in quattro location in croce. Dietro la cinepresa c’è Tommy Wirkola, che alcuni ricorderanno per lo splatter Dead Snow coi suoi zombie nazisti o per il più edulcorato, ma ugualmente folle, Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe. Pertanto, anche in Seven Sisters non manca la giusta dose di corpi maciullati, schizzi di sangue e cervella sui muri e neppure momenti d’umorismo (la scena del cunnilingus ha innegabilmente del comico, tra inedito godimento e missione da portare a termine). Come sempre, vale la regola del de gustibus.
Il film sembra essere costruito intorno all’idea di voler vincere a tutti i costi la sfida di utilizzare una sola interprete per più ruoli. Non si tratta di Manifesto (Julian Rosefeldt, 2015) e dei suoi dodici “quadri” con Cate Blanchett o delle multiple personalità di James McAvoy in Split (M. Night Shyamalan, 2016). L’operazione di Seven Sisters ricorda piuttosto quella dei gemelli Mantle (Jeremy Irons) in Dead Ringers – Inseparabili (David Cronenberg, 1988) o dei Winklevoss (Armie Hammer) di The Social Network (David Fincher, 2010).
In un’intervista rilasciata a Vanity Fair, la svedese Noomi Rapace (QUI, invece, la nostra intervista all’attrice) – per interpretare quanto più realisticamente possibile sette ruoli diversi spesso presenti sullo schermo nello stesso arco episodico – dice di essersi fatta una doccia dopo aver filmato ogni scena nei panni di una delle sorelle e di aver utilizzato sette profumi diversi per calarsi meglio nelle altrettanti parti.
Seven Sisters, lungi dall’essere solo un esercizio di stile, finisce col convincere soprattutto quando fa uso della favoletta sci-fi per parlare d’altro, cioè della crisi d’identità. Le sette sorelle sono sette menti che dovrebbero, stando agli insegnamenti impartiti da Terrence, operare all’unisono in vista di uno scopo comune. Ognuna di loro porta il nome di un giorno della settimana, corrispondente all’unico momento in cui possono uscire (Lunedì il lunedì, Martedì il martedì, etc.) e, nell’istante in cui viene varcata la soglia di casa, tutte diventano la fittizia Karen Settman, interiormente dissimile da chiunque di loro. Una per tutte, tutte per una? Più o meno. Interessante però notare che lo scenario veramente apocalittico dipinto in Seven Sisters non è quello di una società dove il numero degli esseri umani viene mantenuto costante ricorrendo a misure drastiche, ma piuttosto quello di una collettività anonima, senza coscienza.
Abusata e non del tutto convincente la morale del film: sì, il problema della sovrappopolazione non si può negare, ma sulla Terra c’è spazio per tutti e quando esso finirà, beh, ne si creerà dell’altro, continuando a piegare il pianeta (come sempre s’è fatto) al volere della razza umana. Insomma, due ore di narrazione sull’importanza della ribellione contro un governo visionario e omicida che terminano con una prospettiva di futuro forse ancora peggiore.
Gestire con successo, da un punto di vista tecnico, un progetto così ambizioso costituisce un unicum nel panorama cinematografico attuale. Utilizzare una stessa attrice per sette parti diverse presenti, quasi sempre, nello stesso momento in scena? Mai fatta una cosa del genere prima d’ora. Un film come Seven Sisters ecco che può fare scuola e mostrare una via percorribile per chiunque vorrà un giorno confrontarsi con una tale sfida. Wirkola, il regista, e il comparto tecnico riescono nell’impresa. Da questo punto di vista, ed è più che sufficiente per promuovere il film, si tratta di un risultato produttivo non indifferente.
- Le palle d’acciaio di The Caine Mutiny Court-Martial - September 11, 2023
- Appunti sparsi su Crimini e misfatti - September 8, 2023
- Quell’unica volta in cui Douglas Sirk si diede al genere western - August 29, 2023