
TFF35: Most Beautiful Island, nella tela di Manhattan
December 1, 2017Farcela a New York è un’impresa titanica, è già di per sé complicato sopravviverci arrabattandosi con lavoretti part-time. Frank Sinatra canta “If I can make it there, I’m gonna make it anywhere” (“Se posso farcela qui, ce la farò da qualsiasi altra parte”). Tra permessi, green card, affitti a prezzi astronomici anche per luride stamberghe con pareti infestate da scarafaggi, il costo della vita ben sopra la media, crearsi un futuro partendo da zero è una lotta quotidiana, come quella di Luciana in Most Beautiful Island.
Un atipico survival movie di settantacinque frenetici minuti, ecco come condensare in poche parole il lungometraggio prodotto, diretto e interpretato dalla madrilena Ana Asensio, che dopo l’anteprima al SXSW Festival di Austin (Texas) a cui è seguita tutta una sfilza d’importanti kermesse internazionali (Londra, Sitges, Stoccolma) è stato presentato anche alla 35ma edizione del Torino Film Festival nella ricchissima sezione After Hours.
Distribuito dai colossi Orion Pictures e Samuel Goldwyn Films, Most Beautiful Island mostra ventiquattro convulse e inquietanti ore all’interno della vita di una giovane donna emigrata a New York per ricominciare da capo la propria esistenza e superare il lutto della figlia piccolissima, di cui tuttavia conserva vestitini e giocattoli in singole buste di plastiche per poterne preservare l’odore e immaginarsi un poco di averla con sé. Ogni cosa è una fatica: ci si può curare solo se si ha i soldi, effettuare telefonate internazionali consuma velocemente il credito, ci si può barcamenare solo facendo la baby-sitter o distribuendo dépliant e ci vuole un attimo per scivolare nel mondo della prostituzione. L’altra faccia del sogno americano è quella della disperazione. Rimanere senza soldi negli USA? Un incubo. Così, la scelta di “farsi affitare” per un misterioso party diventa l’unica possibilità che Luciana ha per trovare in poche ore dei soldi di cui ha assoluto bisogno. Seppur diverso a livello di trama, il film si avvicina molto in termini realizzativi e tematici al Good Time dei Safdie Brothers
Most Beautiful Island è stato girato per buona parte con videocamere nascoste agli angoli delle strade di Manhattan, dalla zona del Village alle botteghe di Chinatown, all’oscuro di passanti e forze dell’ordine, uno stratagemma già utilizzato dalla New Hollywood e ancor prima dalla Nouvelle Vague, ma ancora oggi restituisce un’illusione di realtà che tanto manca alla cinematografica americana.
Ecco a cosa ambisce l’opera prima di Ana Asensio: a raccontare una storia verisimile dove il dramma dell’immigrazione possa essere trattato senza patetismo o con fasulle invenzioni buoniste, ma con crudo realismo. Da questo punto di vista, sommato anche al fatto che si tratta di una produzione con un modestissimo budget, Most Beautiful Island è un successo. Da brividi lungo la schiena il finale, dove (inconsapevolmente o meno) risuonano echi dell’Enemy di Denis Villeneuve.
Nota bene: Un film inadatto a chi soffre di aracnofobia.
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