Bright, diciamo anche basta alla critica americana

Bright, diciamo anche basta alla critica americana

December 27, 2017 0 By Gabriele Barducci

bright posterIn calce a queste parole ci saranno alcuni numeri: Rotten Tomatoes, Metacritic, IMDB, numeri che hanno poco senso di esistere (la stessa natura editoriale di Vero Cinema prevede la parola a sfavore di un voto numerico) dato che mese dopo mese l’evoluzione dello spettatore e della critica corre di pari passo, con quest’ultima che ha perso potere, per demerito degli addetti ai lavori.
Dopo aver salutato Star Wars VIII – Gli Ultimi Jedi come il capolavoro cinematografico del 2017 (alcuni hanno azzardato anche capolavoro degli ultimi 20 anni), un altro blockbuster di natura produttiva e distributiva differente, Bright di Netflix, è stato accolto come il peggior film – blockbuster – di questo 2017.

Vie di mezzo non se ne conoscono.

Eppure, tolto il primo caso di cui abbiamo ampiamente parlato, di Bright, massacrato senza speranza, tutta questa cattiveria è davvero incomprensibile.
C’è da capire quindi, c’è forse un pizzico di pregiudizio nei prodotti Netflix? Tolti i prodotti serial, che conoscono alti e bassi, le produzioni cinematografiche sono state sempre bersagliate di critica. Ricordate Okja? Film clamoroso, eppure l’esser stato presentato a Cannes ha mosso non poche critiche: ha senso mettere in concorso film che non arrivano al cinema, rimanendo nella semplice fruizione streaming?
La critica statunitense è ampiamente influenzabile da tanti fattori, come quella europea e quindi serpeggia sempre il pregiudizio negativo quale fosse Netflix un bambino capriccioso che prova a fare il passo da gigante non avendo i giusti requisiti.

D’altronde, Bright cos’è? Uno spunto geniale, gestito bene per metà film e cadendo nella banalità action nella seconda metà. Film brutti, orrendi, anche di blockbuster ne abbiamo visti a decine (davvero, ci siamo già scordati de La Mummia, Baywatch o Power Rangers?).
Eppure con dati alla mano, la cattiveria gratuita sembra trovare conferme: Max Landis non è molto amato, David Ayer si è inimicato la critica quando ha insultato chiunque criticasse Suicide Squad, Will Smith ha perso molto potere e gli ultimi film difatti non sono per nulla all’altezza, condito tutto con il già citato astio verso Netflix.

bright netflix 1

Togliendo tutti questi fattori, facilmente interpretabili, cosa rimane di Bright? Un film sicuramente da vedere sia per capire come non si debba fare un film blockbuster sprecando il potenziale, sia per capire che qualcosa di nuovo nel panorama c’è, ma forse il monopolio del pubblico vecchio stampo (sempre influenzato) non riesce a far emergere il buono su cui lavorare in quel eventuale sequel che sembra essere in fase di conferma.
L’idea di una società odierna e distopica dove creature e miti fantasy sia realmente esistiti era davvero intrigante. L’unico ostacolo, che ha confermato la diretta difficoltà, era quello di inserire questo elemento nella nostra quotidianità, trasformando il film in un urban fantasy dove se l’aspetto crime vince facilmente (Ayer in questo genere è bravissimo) meno viene il fantasy, con notevoli scelte stilistiche ed estetiche che sono abbandonate nella pellicola senza un minimo di contestualizzazione. Un po’ come avere un gruppo di bambini vestiti di bianco, poi in mezzo c’è un bambino con la maglietta di Batman: si distingue, apprezzi la voglia di cambiamento, ma stona tantissimo e non capisci perché nessuno si sia accertato che tutto confluisse nel migliore dei modi.

Il miglior aspetto su cui lavorare e che lascia molto all’immaginazione off screen dello spettatore è la gestione razziali e sociale di questa realtà con gli orchi che sono i nuovi afroamericani mentre gli elfi, ricchi dei loro classici stilemi del genere, sono gli altolocati, ricchi e saggi.
Esattamente come già visto nei primi due lavori di Neill Blomkamp, District 9 e Elysium, la divisione sociale crea certezze e timori: gli orchi, segnati dalla nomea di aver servito in passato un signori oscuro, sono allontanati con timore, quasi rinchiusi in ghetti abbandonati senza legge, esattamente come gli alieni di District 9. La paura del diverso e la totale anarchia crea tensione, sfiducia, lotte interne sia istituzionali che di gruppi.
Il resto è avvolto nel mistero: Max Landis dice che Ayer ha rimaneggiato lo script, effettivamente nella seconda metà, si trasforma nel classico action muscolare. La verità anche qui sta nel mezzo, ma ancora una volta no, Bright non è assolutamente il peggior film del 2017. Il vero disastro è la situazione della critica e noi, in piccola dose, ne facciamo parte. Ahimè.

Gabriele Barducci
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