
Kevin Spacey presenta: Tutti i soldi del mondo
January 4, 2018Ieri, usciti dalla proiezione stampa del film, avevamo più o meno le idee abbastanza chiare su questo film: un buon Scott, con alcuni momenti molto belli e altri altrettanto non riusciti, ma tutto sommato un film particolarmente riuscito. Non avevamo però fatto i conti con il dopo sbornia, quelle 24 ore successive in cui quel poco di entusiasmo che avevamo è andato a morire, riducendo Tutti i soldi del mondo un film assolutamente mediocre, che aveva un grande potenziale, purtroppo sprecato, per abbracciare una logica sconclusionata, mancando totalmente di una forma filmica concreta.
Siamo a Roma, nel 1973, la ‘ndrangheta calabrese rapisce il nipote di Jean Paul Getty, magnate del petrolio e uomo più ricco del mondo e della storia. Alla ricchezza corre di pari passo anche la sua tirchieria e avidità, motivo per cui, si rifiuterà di pagare il riscatto chiesto per la sua liberazione. Spetterà quindi alla madre (senza un soldo) e un ex agente della CIA, ingaggiato da Getty stesso, riuscire a trovare i soldi.
Tutti i soldi del mondo è uno di quei film di cui percepisci a pieni polmoni il potenziale che potrebbe esprimere il film, grazie a tanti piccoli accenni che rendono ricco il personaggio di Getty (Plummer messo sulla croce ancora prima di vedere il lavoro, a conti fatti, la sua interpretazione è l’unica cosa veramente buona del film) e che fa salire la rabbia per come si sia concretizzato così male.
Si può amare più i soldi ché il proprio sangue? Sì, ma non per la solita e classica definizione avara – siamo anche reduci dal Natale, facile pensare allo Scrooge di Dickens, paradossalmente già interpretato da Plummer in Dickens – L’uomo che inventò il Natale – quanto per una concezione di legacy di cui lo stesso Getty è innamorato. Lui come esponente del genere umano si rende un diretto discendente dei grandi imperatori romani, cita Adriano e chiede addirittura alla città di Roma di comprare gli scavi di quella che era la sua tenuta. Il nipote è tanto sangue del suo sangue quanto uno sanguisuga. Lui dice che pagare il riscatto metterebbe in pericolo gli altri tredici nipoti. Nobile. In realtà è una mera scusa per non spendere denaro senza avere nulla in cambio.
Getty spende denaro solo se può detrarlo dalle tasse, oppure, se avrà qualcosa in cambio, un oggetto.
La concretezza e risolutezza nell’eternità di un oggetto non è mai in discussione. Quello rimarrà sempre così, le persone invece cambiano, mutano. Meglio gli oggetti agli effetti e se c’è da immortalare una persona in particolare, il miglior modo è realizzare un busto, una statua e riempirsi casa di quello.
Su questo doveva girare il film, invece Scott sembra prendere spunto da un altro grande successo letterario: 100 barzellette sui Carabinieri (e luoghi comuni italiani).
La ricostruzione dell’evento, dove si avverte subito che quasi tutto è stato – giustamente – romanzato e quindi modificato dalla realtà, è dei più gretti e subdoli, uno di quei film che ritrae gli italiani come mangiatori di spaghetti, mafiosi, corrotti e in continua crisi di identità, come dimostra la piccola scena delle Brigate Rosse, cellula terroristica che invece di operare e nascondersi al buio, tappezzano il loro quartiere generale di bandiere con scritto BR. Antisgamo proprio.
Proprio qui il film di Scott affonda, nonostante si apprezzi la voglia del regista di cercare uno stile registico e narrativo differente, costruendo un thriller che oscilla tra il film d’inchiesta e quello di cronaca, rendendo tutto il racconto meno pomposo e quindi più accessibile e credibile, però peccando di una forma filmina totalmente assente.
Sarà che per noi Scott non ne sta indovinando più nessuna da parecchi anni, evidentemente il problema non è lui, ma nelle sceneggiature che sceglie: hanno bisogno di essere più concrete.
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