
Loveless, dalla Russia con rancore
January 10, 2018In un’algida e cinerea Mosca, un uomo e una donna si apprestano a divorziare. Ognuno di loro ha già una nuova vita, una nuova persona al proprio fianco, ma i due hanno anche precedentemente messo al mondo un figlio di cui non vogliono prendersi cura. Un giorno questi scompare improvvisamente e sarà una pena doverlo cercare. Loveless, regia del russo Andrey Zvyagintsev già autore degli acclamati Il ritorno (2003) e Leviathan (2014), è uno dei papabili candidati al premio Oscar per il Miglior Film Straniero del 2017, in corsa con The Square, The Insult, Foxtrot, On Body and Soul e altri.
Distribuito in Italia dalla Academy Two e proiettato perlopiù all’interno del circuito dei cinema d’essai (al Romano di Torino, al City di Genova, al Nuovo Sacher di Roma, etc.), Loveless utilizza l’espediente narrativo della scomparsa di un dodicenne per parlare d’altro. Un film doloroso, disumanizzante, dove l’egoismo di due genitori troppo impegnati a rifarsi una vita è tale da far sì che lui e lei siano abilissimi a vomitarsi addosso le colpe e incapaci di unire le proprie forze, di aiutarsi, di confortarsi a vicenda.
Privi di sentimenti umani, vale la pena di sottolinearlo ancora, Boris e Zhenya non si disperano neanche per un secondo quando scoprono che il loro piccolo Alyosha è sparito chissà dove, forse rapito, forse già ucciso, forse volutamente allontanatosi da quel nucleo familiare per sempre disgregato. Lei ammette che avrebbe fatto meglio ad abortire e nel frattempo si è messa con un uomo molto più anziano che ha una figlia già grande; lui ha messo incinta una giovane ragazza a cui ha riempito la testa di promesse fasulle. La mancanza di amore a cui il titolo si riferisce è quella di due adulti totalmente inadatti al mestiere dei genitori, al sacrificio in vista di un bene più grande (l’aver dato vita a una creatura innocente, il prendersene cura).
Loveless affronta il tema dell’odio, del rancore, della fuga (da chi si è, da cosa si è costruito), degli errori a cui non si può più porre rimedio, tutti elementi disposti con ordine all’interno di un quadro che vede la società odierna scaricare stress e ansie sugli schermi degli smartphone e dove l’incomunicabilità tra persone di sesso diverso ha preso uno spazio così ingombrante da impedire ogni altra manifestazione dell’esistere oltre all’invano proiettare se stessi al di fuori di sé verso un futuro senza la possibilità di stare mai veramente insieme. Una società degradata che il regista Andrey Zvyagintsev colloca in bilico tra ben arredati appartamenti da borghesi e fabbricati fatiscenti, abbandonati. Squallore interiore.
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